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«Regnare è servire», l’insegnamento del Maestro

Con la domenica di Cristo Re si conclude l’anno liturgico, un anno di grazia del Signore durante il quale riviviamo i misteri principali della salvezza. In questa domenica riflettiamo non tanto e non solo sulla fine della nostra esistenza terrena, ma sul suo fine: Gesù Cristo è l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine della storia, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente, il giudice universale, il pantocratore, Colui che governa e sta su tutto e su tutti. Il libro dell’Apocalisse utilizza tutti questi titoli per definire la signoria di Dio, ma Gesù sembra preferire un’immagine molto più semplice, quella del pastore che si prende cura, difende e nutre le sue pecore. Alla fine lo stesso pastore dovrà fare comunque una separazione tra pecore e capre, una scelta che possiamo comprendere meglio alla luce delle due parabole che l’hanno preceduta, le dieci vergini e i talenti: in entrambi i casi la lode ricade sui buoni e fedeli e non sui pigri e stolti. Anche qui la distinzione è tra due categorie, tra quelli che scelgono di amare e servire i fratelli in difficoltà e quelli invece che “vedono e passano oltre”.

L’immagine del re pastore certo non è rappresentativa di una qualsiasi signoria o regalità umana; si aggiunga poi che quest’ultimo, almeno come ce lo presentano i vangeli della passione, è come “re di burla”, con una corona di spine invece che d’oro e d’argento, una canna tra le mani al posto dello scettro regale tempestato di pietre preziose, ed assiso su un trono che è una ruvida croce di legno. Siamo così chiamati ad andare tutti alla scuola di questo strano Maestro, il quale ci insegna che “regnare è servire”. Oggi Egli rivela la sua vera identità: il nostro re è uno che ama sul serio, Egli ci governa non separandoci, come hanno fatto tanti re della storia, il cui motto era “divide et impera”.

Egli non è venuto per portarci via, privandoci di quanto di buono abbiamo per consolidare il suo potere effimero: Lui regna servendo e governa amando. È l’assurdo è che addirittura da giudice supremo, emblema di chi è indubbiamente superiore e migliore degli altri, si identifica con gli accusati, con coloro che sono posti sotto processo dalla vita, con quelli che Lui proclamerà “beati”, ma che non sono altro che poveri sventurati, gente che nessuno invidia, ma addirittura evita se può. Identificandosi con loro, ci mette davvero in difficoltà. Il giudizio universale è qualcosa al quale tutti ci vorremmo sottrarre, perché sappiamo che l’ago della bilancia si sposterebbe più dalla parte della chiusura del cuore nell’egoismo e nel tornaconto. Il Signore ci chiede una misura alta dell’amore, ci sprona a spiccare il volo nella carità e ci pone sempre davanti al nostro cammino come sei tappe obbligate, sei incontri inevitabili, che prima o poi capitano a tutti nella vita: avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere. Legittima la domanda: “Quando mai Signore?”. Non ci vuole molto a riconoscere, accettare e seguire un Dio che si identifica con il potente di turno, con l’impareggiabile ricco, con il divo da hit parade. Quanta fatica invece riconoscerlo e credere che Lui sia proprio quel povero sotto casa, quello straniero invadente, quell’insopportabile straccione. E le parole risuonano come una frustata, come un pugno allo stomaco: “Ogni volta che lo avete fatto a uno di loro lo avete fatto a me”. Ed io aggiungo nel bene e nel male, ossia sia se lo abbiamo servito, curato, assistito, sia che, invece, lo abbiamo maltrattato, respinto e umiliato in chi si trovava sul ciglio delle nostre strade, ai bordi delle nostre periferie. Tutti siamo entrati nel circolo vizioso della “globalizzazione dell’indifferenza” (papa Francesco) e tutti siamo caduti nella trappola delle infinite omissioni, per le quali sappiamo che non basta sentire la coscienza in pace per non aver fatto nulla di male, poiché sappiamo che si può fare del male anche con il silenzio, si può uccidere pure con lo starsene tranquilli alla finestra e guardare. Aiutaci Signore ad amare e servire come hai fatto Tu e a capire che solo così facendo possiamo essere sicuri della felice ricompensa che Tu prepari per i servi buoni e fedeli.