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Non importa la quantità, ma come utilizziamo i talenti

Siamo giunti alla penultima domenica dell’anno liturgico. La liturgia della Parola di queste ultime settimane ci invita a riflettere sulle verità ultime. Mi sembra significativo che il brano odierno venga posto tra il vangelo delle dieci vergini, che sottolinea l’importanza di essere sempre pronti e vigilanti nell’attesa della venuta nella gloria del Signore (parusia), e il vangelo del giudizio universale (Mt 25), che ci ricorda che “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” (san Giovanni della Croce).
Nella pagina evangelica odierna leggiamo il noto brano dei talenti, o meglio di “un uomo che partendo per un viaggio chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni”. Cerchiamo di scoprire le preziose indicazioni spirituali in esso contenute. Innanzitutto il gesto di fiducia del padrone, che non affida cose da nulla, semplici quisquiglie ai suoi servi, ma un patrimonio di inestimabile valore, se consideriamo che un talento, secondo gli studiosi, equivaleva a circa 36 chili d’oro, quasi il salario di vent’anni di lavoro. Qui si parla di dieci, cinque e un solo talento, dati ai diversi servi “secondo le capacità di ognuno”. In un’altra parabola si parla addirittura di “diecimila talenti”, quasi il bilancio di uno Stato ricco, di un enorme somma prestata e poi condonata da un padrone a uno dei suoi servi, che per tutta risposta non saprà condonare a sua volta a un suo compagno il debito di una somma irrisoria di appena “cento denari”. Il messaggio è chiaro: Dio a noi non affida cosa da nulla, ma un’infinità di beni materiali e spirituali. Relativamente ai primi, basti pensare al creato e a quanto di bello e di buono ci circonda; per i secondi, al dono della figliolanza divina e alla gioia di poter chiamare Dio nostro Padre, a quello della fede, alimentata dalla sua Parola e dai suoi sacramenti, e sostenuta dalla sua grazia e misericordia senza limiti. Come credenti non possiamo non chiederci cosa abbiamo fatto e cosa ne facciamo di questi inestimabili tesori di Dio posti nelle nostre povere mani. Dio ci dona tutto fidandosi di noi e affidandosi a noi, una fiducia incommensurabile che non sempre obiettivamente abbiamo saputo ricambiare. È proprio vero che ha più fretta Lui di darci fiducia e con essa comprensione, pazienza e amorevolezza di quanta ne dovremmo avere noi nel chiedere tali prerogative senza mai stanziarci.
Il padrone affida ai suoi servi delle somme diverse dei suoi talenti “a secondo le capacità di ognuno”. Innanzitutto per Dio non conta quanti talenti abbiamo, non è importante se ne possediamo pochi o molti, ciò che conta ai suoi occhi è che noi apprezziamo i doni da lui ricevuti e li sappiamo utilizzare bene per ottenerne uno sviluppo maggiore. Dobbiamo ricordarci che nessuno è padrone di alcunché, e che tutto quello che abbiamo o possediamo ci viene dato in prestito, quasi “in comodato d’uso”. Nessuno quindi può approfittare o abusare delle cose belle che sono dentro e intorno a noi, ma ognuno deve essere consapevole dell’uso che ne facciamo, dimostrando di essere buoni amministratori, sempre pronti a dare conto al legittimo proprietario. Egli certamente loderà i risultati positivi, lodando e premiando chi ha saputo gestire bene i suoi talenti moltiplicandoli, e biasimando e punendo il servo “malvagio e infingardo” che invece non li ha trafficati. Comprendiamo allora che tutto dipende dall’idea che noi abbiamo di Dio e dal rapporto che vogliamo avere con Lui. Il vangelo alla fine condanna l’uomo stolto, non tanto per la sua incapacità di gestire, ma per l’errata considerazione del suo padrone: ‘’So che si un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”. Due mostri spirituali sempre in agguato per tutti: la pigrizia di chi preferisce starsene con le mani in mano, ma anche la paura di chi non fa nulla per non sbagliare.
Chiediamo di saper imitare lo stile della “Vergine Maria che, ricevendo il più prezioso tra i doni, Gesù Cristo, lo ha offerto al mondo con immenso amore. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere ‘servi buoni e fedeli’ per prendere parte un giorno alla gioia del nostro Signore” (Benedetto XVI).