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L’agnello di Dio, innocenza che libera dal peccato

Questa seconda domenica invita a riflettere ancora sul Battesimo del Signore e dunque anche sul nostro battesimo. In fondo sia per Gesù che per noi il battesimo indica l’inizio di una vita nuova: per Gesù l’inizio della missione pubblica, quando lascia il suo paese d’origine, dove era vissuto accanto ai genitori, e comincia a percorrere le vie della Galilea per annunciare il vangelo del regno e mostrare il volto del Padre; per noi l’inizio di una vita nuova, quella di figli di Dio, di coloro che sono stati costituiti tali non per privilegio o merito, ma per rendere testimonianza a Colui che ci ha scelti e chiamati fin dal grembo materno. Siamo ancora all’inizio di nuovo anno e sarebbe bello ripartire con l’impegno di vivere da veri figli di Dio, cristiani rinati e rigenerati nel battesimo, testimoni credibili dell’amore di Dio che libera, guarisce e salva.
Il vangelo di oggi inizia proprio con la testimonianza di Giovanni su Gesù di Nazareth, indicato come “l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. Questa presentazione certamente stupisce e sconvolge gli ascoltatori, che come il Battista aspettavano un messia potente e glorioso, un inviato da Dio che avrebbe stravolto le sorti del mondo con la sua maestà e potenza. Neanche gli evangelisti saranno simboleggiati così umilmente, ma di ognuno di essi daremo un’immagine simbolica imponente: il leone (Marco), il bue (Matteo), l’aquila (Giovanni) l’angelo (Luca). Per Gesù invece si usa l’immagine dell’agnello: “Non si caratterizza certo per forza e robustezza. L‘agnello non è un dominatore, ma e docile; non è aggressivo ma pacifico, non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco” (Papa Francesco). Il nostro pensiero non può comunque non andare al Vecchio Testamento per prendere tutta l’allegoria dell’agnello, particolarmente in Esodo, dove è detto che il sangue dell’agnello impresso sugli stipiti delle porte scampò dal flagello dell’angelo della morte il popolo d’Israele. L’agnello allora è il simbolo per eccellenza della Pasqua ebraica, della Pasqua di liberazione, del passaggio dalla schiavitù alla libertà dei figli d’Israele. Comprendiamo anche noi allora il valore di quella parola che ripetiamo ogni volta che partecipiamo alla celebrazione eucaristica: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo, beati gli invitati alla cena dell’Agnello!”.
Quanto dovremmo imparare da questa immagine certamente cara al cuore del nostro Maestro! Come sarebbe diverso non solo se credessimo davvero che Gesù è il vero Agnello innocente che ci libera dalla schiavitù del peccato e della morte, e che come ogni agnellino Lui non aggredisce ma sopporta, è la realizzazione concreta della vera obbedienza e docilità e dell’amore indifeso che non esita a dare la vita per noi peccatori incalliti!
Non possiamo non riconoscere che tra i pericoli spirituali del nostro tempo c’è proprio la perdita del senso del peccato, in quanto oggi predomina la cultura del “così fan tutti” o del “che male c’è”. È quanto mai necessario riscoprire il senso della nostra debolezza e fragilità umana non tanto per cadere nel vittimismo o nei sensi di colpa, ma per riconoscere l’infinita misericordia di Dio, che “non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe”, ma ci dona suo Figlio per la nostra salvezza.
“Che cosa significa per noi oggi essere discepoli di Gesù Agnello di Dio? Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio” (Papa Francesco). Rappresenti per noi questo una sfida e un impegno non solo per il nuovo anno, ma per tutta la vita.