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Dalla cupidigia alla sobrietà, la via della salvezza

 

Da qui la risposta forse poco garbata di Gesù al suo interlocutore: “Chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”, quasi a dire per le cose materiali e mondane vedetevela tra di voi, la mia missione non è di fare osservare la giustizia terrena, ma portare l’amore salvifico del Padre. E per rafforzare il suo messaggio racconta la parabola dell’uomo ricco che aveva lavorato tanto e ormai verso la fine dei suoi giorni si programma il tempo, che noi oggi definiremmo del pensionamento, ossia il tempo del meritato lavoro dopo un’intensa e faticosa attività lavorativa. Un programma racchiuso in una frase che dice tutto: “Riposati, mangia bevi e divertiti”. Un programma, se ci pensiamo, dal punto di vista umano legittimo e dovuto.

Ma Gesù anche in questo caso ha una novità di pensiero e di stile di vita da proporre. Certo con questo non vuole condannare l’atteggiamento positivo di chi al termine di tanta fatica si organizza una buona vecchiaia, specialmente se consideriamo la pigrizia e l’inezia di molte persone, anche particolarmente giovani, che vivono battendo la fiacca. Gesù ci ricorda che “tutto non finisce qui”, e che per questo non bisogna “accumulare tesori per sé ma di arricchirsi davanti a Dio”.

Egli apre così il nostro cuore all’eternità, a quella vita che non avrà fine, richiamata in modo sintetico e essenziale dalla nota espressione “la nostra patria è nel cielo”. Infatti, davanti a quell’uomo che pensa di alienare il pensiero della morte, organizzandosi il resto dei suoi giorni quasi durassero all’infinito, Gesù a brucia pelo domanda: “questa notte stesa ti sarà richiesta la vita (morirai) e tutto quello che hai accumulato di chi sarà?”. Capiamo allora che Cristo senza usare mezzi termini ci mette in guardia da uno stile di vita improntato sull’avidità nel possedere cose, nell’accumulare tesori, nel fare carriera, perché sa che, come insegna la Scrittura, “l’uomo nella prosperità non comprende è come gli animali che periscono” (Salmo 49,21).

Gesù ci ricorda che questa vita, per quanto lunga, è destinata a finire, e che “l’uomo quando muore con sé non porta nulla”. E questo lo fa non certo per mettere nel nostro cuore l’ansia o la paura della morte, né tanto meno per distoglierci dall’impegnarci nelle diverse situazioni della vita, ma vuole aprire il nostro cuore all’amore vero per Dio, come pure all’attenzione e solidarietà verso i fratelli, in particolare quelli meno fortunati di noi. Quante volte abbiamo sentito dire o forse abbiamo ripetuto: “Siamo di passaggio, lasciamo tutto su questa terra”, e frasi simili che direbbero il nostro distacco e quasi disinteresse per le cose materiali e terrene, ma poi, se qualcuno ci tocca le nostre cose o non ci dà quello che secondo noi ci spetta, per legge o eredità, apriti cielo! La sobrietà, l’equilibrio, la moderazione allora sono virtù essenziali per la vita cristiana, nella quale non ci può esser posto per la cupidigia, l’avidità, l’ingordigia.

“Condividere”, un verbo che non riusciamo a coniugare, un impegno che non riusciamo a mantenere, un esempio che non riusciamo a dare. Preghiamo oggi affinché il Signore ci conceda di saper vincere la tentazione di possedere ad ogni costo, la smania di volere sempre di più, e ci doni un cuore “capace”, nel senso etimologico del termine, cioè “capiente”, adatto a contenere ciò che Dio desidera darci e che supera abbondantemente le nostre aspettative e desideri più grandi, non dimenticando mai che “c‘è più gioia nel dare che nel ricevere” e che “è donando (e non accumulando) che si riceve” in pace, gioia e serenità, in questa vita e per l’eternità.