Essa prega il «padrone della messe» per il dono di sufficienti e sante vocazioni affinché il Vangelo giunga agli estremi confini della terra, e in ogni luogo e nazione si renda presente l’amore misericordioso di Dio Padre, che sempre si prende cura del suo amato gregge, conducendolo alle sorgenti della vita. Il vangelo è tratto dal capitolo decimo di Giovanni, una pagina particolarmente lunga e intensa che evidenzia la scelta di Gesù di presentare la sua vita e missione mediante l’immagine del pastore. Dobbiamo riconosce che la civiltà dell’industria e dei consumi ha messo ormai ai margini la pastorizia e l’agricoltura, per cui la figura del pastore va scomparendo sempre più, così come quella del vignaiolo o del fattore, eppure queste immagini sono ancora considerate tra le più belle e significative nel messaggio biblico. Certo il lavoro del pastore è duro, la sua vita è intessuta di mille privazioni, il suo guadagno assolutamente inadeguato ai sacrifici che compie e sottoposto costantemente al rischio delle stagioni e dalle intemperie. Ma perché Gesù sceglie proprio questa immagine? «In quel tempo» sappiamo che la pastorizia era particolarmente presente e sviluppata, sebbene anche allora la categoria dei pastori era considerata tra le più misere e disprezzate della società: non a caso Dio la vorrà scegliere come prima destinataria dell’annuncio degli angeli nella nascita del Redentore del mondo. Il testo di questa domenica ruota intorno a due verbi, conoscere e seguire. Entrambi esprimono una profonda relazione d’amore tra pastore e pecore e sottolineano che non è possibile instaurare tale rapporto senza una vera conoscenza. Ma mentre non possiamo dubitare della conoscenza del pastore, espressa in particolare dall’espressione «do la loro la vita eterna e nessuno le strapperà dalla mia mano», possiamo affermare noi di conoscerlo e amarlo come fa Lui con noi? Se così fosse, secondo Gesù, la cosa sarebbe espresse da una conseguenza inequivocabile: «Le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono». Se ne deduce che se oggi molti non seguono Gesù, non desiderano cioè essere suoi discepoli, è perché evidentemente non lo conoscono. Ma come lo si potrebbe conoscere senza qualcuno che lo annunci e testimoni? Da qui il servizio dei pastori terreni, che comunque, pur con tutta la loro buona volontà e capacità, non potrebbero mai esautorare il vero e unico Pastore: essi sanno che il loro principale compito è proprio quello di essere sua immagine più plausibile e credibile possibile, ossia, per dirla con le parole di papa Francesco, «pastori con l’odore delle pecore». Scrive papa Bergoglio: «Questo vuol dire mettersi in cammino con i propri fedeli e con tutti coloro che si rivolgeranno a voi condividendo gioie e speranze, difficoltà e sofferenze come fratelli e amici, ma ancora di più come padri, che sono capaci di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare». Ecco perché non ci dovremmo mai stancare di chiedere a Dio «pastori secondo il suo cuore», che aiutino i fedeli loro affidati a non sentirsi mai soli, a convincersi che «non mancano di nulla» se si fidano e si affidano al grande Pastore che non si stanca di proteggerli, difenderli e custodirli nel suo amore e nella sua pace. Chi di noi non avverte la necessità di una guida sicura, di un pastore fidato, che si prenda veramente cura di noi e ci protegga in un mondo in cui i punti di riferimento vengono sempre più a mancare e lo smarrimento, la confusione e l’incertezza sembrano dilagare? Ma perché non ascoltare la sua voce e smetterla di seguire i falsi pastori che ci propongono vie facili che non portano da nessuna parte, ricette di felicità che inevitabilmente si rivelano inutili e fallaci? Chiediamo allora al nostro amato Pastore di accoglierci di nuovo nel suo gregge, di tenerci nuovamente al sicuro nel suo ovile e di assicurarci ancora la sua guida e il suo amore, per sempre.