Era il 18 aprile 1992. Per il calendario liturgico è Sabato Santo. Per i reggini, il giorno del distacco dal loro amatissimo pastore: monsignor Giovanni Ferro. Quindici anni prima aveva lasciato la guida della diocesi reggina per raggiunti limiti di età, il 4 giugno 1977.
Nello stesso anno il Consiglio comunale gli concedeva la cittadinanza onoraria. Ma il 28 agosto, dopo aver celebrato la messa presso il Monastero della Visitazione, partì per Roma e si stabilì presso la Curia Generalizia dei Padri Somaschi.
Fu solo un provvisorio arrivederci: tornerà in riva allo Stretto a inizio anni novanta, prima del ritorno alla Casa del Padre, nella sua città d’adozione. Venne seppellito nella Cattedrale e i reggini si riversarono in strada per quelli che furono i funerali di un uomo ritenuto già santo.
L’arcivescovo monsignor Giovanni Vittorio Ferro, dell’Ordine dei Chierici Regolari di Somasca è nato a Costigliole d’Asti il 13 novembre 1901 e morto a Reggio Calabria il 18 aprile 1992, qui guidò la diocesi reggina dal 1950 al 1977.
Nell’epigrafe si ricorda come «Pastore molto zelante, infaticabile per operosità, risplendente di esimia carità, poverissimo tra i poveri, fermissimo nelle circostanze procellose, segnacolo di pace, sostenitore convinto della promozione della sacra liturgia, fautore di buona cultura, esempio per tutti di virtù, specialmente di pazienza negli ultimi avvenimenti della vita, lui che aveva sofferto di una infermità cronica, o Gesù, buon pastore eterno, lui che seguendo Te, Padre carissimo, tutto si sacrificò per la salvezza delle anime, accogli nella pace e nella gloria tua sempiterna».
«Nel rivolgere a voi, venerandi Sacerdoti e diletti Fedeli dell’Arcidiocesi reggina e di Bova, l’estremo saluto, colui che vi fu Padre e Pastore per tanti anni, vi scongiura “in visceribus Christi” a restare figli devoti della Santa Chiesa, a superare ogni contrasto e divisione con vera carità, e a usare in spirito di povertà dei beni della terra, fisso tenendo lo sguardo ai beni eterni del cielo», scriveva nel suo testamento.
«Vi ho amati tutti e continuo ad amarvi senza esclusione alcuna. Vi attendo tutti in Paradiso, si legge – ove spero di giungere presto, confidando nei meriti infiniti di Gesù Salvatore, nella intercessione della dolcissima Madre Celeste, degli Angeli e dei Santi e nelle preghiere di suffragio che voi farete per la povera anima mia. Chiedo umilmente perdono a chiunque io abbia potuto offendere o contristare, lieto di poter dichiarare che nel mio animo si sono mai fermati pensieri e sentimenti di avversione o di rancore per alcuno di voi. Ringrazio tutti della grande bontà, che come figli amatissimi, avete avuto per me indegno Pastore della Chiesa reggina e bovese. Ai venerati presuli della Regione Calabria, che mi sono sempre stati amabilmente vicini come fratelli carissimi, la mia devozione e riconoscenza imperitura. Delle poche cose che risulteranno in mio possesso alla mia morte, lascio erede il Seminario di Reggio Calabria».
Il presule “reggino” è sempre stato vicino a tutti coloro che avevano bisogno del suo aiuto. Si ricorda la vicinanza al popolo durante i cosiddetti “moti di Reggio Capoluogo” del 1970. Durante il periodo di governo della diocesi eresse nuove parrocchie, ricostruì il Seminario arcivescovile, ed istituì l’Ora (Opera reggina asili) che contava un asilo in ogni parrocchia. Fondò la Scuola Superiore di Servizio Sociale, una delle prime sorte in Italia, incrementò la Poa (Pontificia Opera di Assistenza) e l’Onarmo per l’assistenza morale e religiosa dei lavoratori, le Pie Unioni.