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Cercare il Signore nei giorni bui della disperazione

Il vangelo si apre con un’annotazione temporale, “il primo giorno della settimana” (in altri testi è “il primo giorno dopo il sabato”. Il riferimento è chiaro: è domenica, il Dies Dominici, il giorno del Signore Risorto. Da quella prima domenica i cristiani sentono il bisogno di ritrovarsi insieme per santificare la festa, per fare di quel giorno la loro Pasqua settimanale. Eppure, che posto occupa la domenica nella vita di molti che pur si dicono cristiani? Mi vengono in mente i martiri di Abitene e la loro famosa espressione: “non possiamo vivere senza la domenica”. Per essa difatti non esitarono a dare la vita, a morire martiri, dando concreta testimonianza che il Signore è veramente risorto e che non possiamo vivere bene senza incontrarlo almeno un giorno la settimana, per riconoscerlo come i discepoli di Emmaus nello spezzare il pane.
L’attenzione poi si concentra su una donna, la prima testimone della risurrezione di Cristo, Maria di Magdala, da sempre considerata la donna dell’amore forte e vero, che va alla ricerca del suo amato e non si dà pace finché non lo trova. Un desiderio ardente che non può non rimandarci al famoso Cantico dei Cantici, il poema dell’amore per eccellenza. Da qui un nostro primo desiderio che diventa intenzione di preghiera: avvertire anche noi quel bisogno di Dio che ci porta a lasciare le nostre posizioni comode e confortevoli per metterci alla ricerca, tanto ansiosa quanto gioiosa, del Signore, nella speranza di far nostra l’emblematica esperienza di sant’Agostino: “quesivi et inveni”, ho cercato e ho trovato. Ma quando farlo? Il vangelo sottolinea “quando era ancora buio”. Dio va cercato non in pieno giorno, sotto lo sfolgorio di un bellissimo giorno di sole, ma quando avvertiamo dentro un profondo senso di buio, tutto ci appare oscuro, e nella nostra vita non avvertiamo altro che tristezza, solitudine, disperazione. È allora che senza esitazione dobbiamo alzarci e metterci alla ricerca nella certezza che Lui si farà trovare e lo incontreremo ben presto sulle strade della nostra ricerca: anch’Egli è alla ricerca di ognuno di noi, per restituirci la gioia e la pace che tutti desideriamo.
Dopo la corsa della donna, atri due uomini corrono in fretta, accelerano il passo. Ecco la vera esperienza di vita cristiana, una vita non comodamente seduti in poltrona, aspettando la fatidica manna dal cielo, ma di corsa e in fretta, nel desiderio ardente di vedere il Signore e di sperimentare che Lui è la vita vera, la vita che non muore, capace di restituire gioia e speranza ai delusi e falliti di ogni tempo.
Ma cosa vedono? Una pietra ribaltata, un sepolto scoperchiato, una tomba vuota. Da questi segni un unico messaggio: solo il Risorto può avere la forza di rimuovere il macigno che ci portiamo addosso, solo Lui è capace di scoperchiare il sepolcro pieno di amarezza, tristezza e delusione che abbiamo dentro. Ma per fare quest’esperienza positiva e favorevole bisogna correre. La corsa a cui fa più volte riferimento il vangelo non è la nostra consueta agitazione e frenesia, ma è consapevolezza che non possiamo vivere senza il Signore, è certezza che senza di Lui non possiamo far nulla.
Infine una testimonia concreta di comunione fraterna, offertaci da quei due primi apostoli Pietro e Giovanni. La vita cristiana non è una corsa per accaparrarsi il primo posto, non è abilità nell’emergere e distinguersi come il primo della classe o il campione del mondo, ma è gioia di correre insieme, è pazienza ed attesa del passo più lento del fratello ed è soddisfazione nel condividere la stessa esperienza d fede, che diventa più intensa e profonda proprio perché condivisa e partecipata con gli altri. Possa la Pasqua del Signore mettere ali ai nostri piedi, amore nel nostro cuore, gioia nella nostra vita.