La Messa del Crisma in Cattedrale ha aperto i riti del Triduo pasquale a Reggio Calabria. Si tratta della prima volta che monsignor Fortunato Morrone ha presieduto questa celebrazione come pastore dell’arcidiocesi di fondazione paolina. Erano presenti tutti i sacerdoti e i diaconi del Clero reggino ed una folta rappresentanza di religiosi, religiose e fedeli laici. Hanno concelebrato gli arcivescovi emeriti, monsignor Mondello e monsignor Fiorini Morosini.
«In questa santa celebrazione crismale la Chiesa si manifesta in tutta la sua ricchezza sacramentale di carismi e di ministeri, intorno al suo vescovo» ha detto Morrone in apertura dell’omelia.
«Noi tutti siamo “il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce”, la Luce che non conosce tramonto, quella che nella Veglia Pasquale farà ancora una volta irruzione nella nostra vita: Gesù Cristo, Signore nostro. Non scompaia mai – ha aggiunto il presule d’origine pitagorica – dal nostro cuore il sentimento di gratitudine per tanta misericordia e grazia».
L’arcivescovo reggino ha, poi, contestualizzato il suo messaggio nel periodo storico attuale: «In questo nostro tempo martoriato, segnato da tante ombre nel mondo delle relazioni umane, diventate tenebre anche a causa delle assurde guerre che si consumano nel mondo e ormai da quasi due mesi in Europa, abbiamo bisogno, Signore Gesù, della vivida luce del tuo Spirito perché, unificandoci nell’intimo, ci guidi sui sentieri di riconciliazione e di pace da Te tracciati».
Monsignor Morrone ha poi rivolto un pensiero grato agli arcivescovi emeriti di Reggio Calabria – Bova, monsignor Vittorio Luigi Mondello e monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, ed ha rivolto un saluto fraterno all’arcivescovo emerito di Cosenza-Bisignano, monsignor Salvatore Nunnari, non presente alla celebrazione, ma unito spiritualmente al Presbiterio della Arcidiocesi reggina.
Il pastore della Chiesa reggina rivolgendosi a tutti i presenti in Cattedrale – laici, religiosi e religiose presbiteri, diaconi e laici – ha detto: «La vostra presenza in questa celebrazione così significativa ci incoraggia ad accogliere con sempre più gioiosa responsabilità l’unico vero bene affidato a tutti e a ciascuno: il Vangelo della Grazia e della gioia. Battezzati nel mistero pasquale di Cristo siamo stati tutti unti di Spirito Santo, per essere membra vive del Corpo di Cristo, che è la Chiesa, sacramento d’unità salvifica in questo nostro mondo, casa comune, disgregato e disperso per le nostre e altrui disobbedienze al Dio della vita».
«In tal senso, oggi è la festa di tutti i membri del popolo di Dio, popolo santo consacrato in Cristo Gesù, l’Unto di Dio, “il solo mediatore fra Dio e gli uomini” che “ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Si compie così la profezia di Isaia “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore”. Grazie, per la vostra testimonianza di fede e per il vostro generoso servizio nelle vostre comunità e soprattutto nei molteplici luoghi della vita umana dove il vostro “sacerdozio regale” è balsamo di consolazione, di prossimità, di carità».
«Ma permettete che, in questo giorno così particolare per ciascuno di noi, io possa esprimere la mia speciale gratitudine a voi, cari presbiteri, per il vostro sì al Signore, che mediante la Sua Chiesa vi ha chiamati a seguirlo, costituendovi “come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio”. La concelebrazione eucaristica nella nostra bella Cattedrale, oggi manifesta la vostra, la nostra sincera adesione al Signore: a Lui abbiamo legato la vita per la causa del Vangelo, a vantaggio di tutti gli uomini e le donne, anzitutto per i membri del santo popolo di Dio, affidati alla nostra cura pastorale in questa nostra magnifica e benedetta arcidiocesi».
«La vostra presenza – ha sottolineato Morrone – conforta e rinfranca il mio ministero apostolico di cui ciascuno di voi è stato chiamato ad essere corresponsabilmente e creativamente cooperatore appassionato. Grazie di vero cuore per la vostra testimonianza pastorale che fin qui ho potuto constatare e apprezzare e di cui, in non pochi casi, sono rimasto sinceramente edificato».
L’arcivescovo ha rinnovato gli auguri «ai diaconi ordinati da poco: Matteo De Pietro, Maurizio Demetrio, Giuseppe Stranieri, Vincenzo Attisano, Michele Tambellini, Giovanni Zappalà, François d’Assise Ratsimbazafy, Onjaniaina Ferdinand Razafimamonjy, Jean Bosco Ranovelomiandrisoa e Narindra Tsiriniaina Urlick. E rinnoviamo i nostri auguri anche ai presbiteri: Francesco Iermito e Francesco Vivona».
«Ringrazio il Signore per i confratelli presbiteri che per motivi di salute non sono stati in grado di partecipare di persona alla nostra gioia; da qui li salutiamo cordialmente e con simpatia. Vogliamo ricordare don Pino Sorbara, che ha trovato il compimento della sua esistenza terrena nella Casa eterna del Padre» durante l’ultimo anno pastorale, ha detto Morrone.
«Oggi il Vangelo proclamato – ha evidenziato Morrone – ci riconduce al senso originario e prioritario della nostra unzione sacramentale, che sostanzia le promesse sacerdotali che rinnoveremo con gioia e con santo timore per la grande fiducia che il Signore ha riposto in ciascuno di noi».
Proseguendo la sua riflessione, l’arcivescovo ha spiegato come «l’evangelista Luca in pochi versetti, facendo eco al profeta Isaia, pone sulle labbra di Gesù le scelte della sua missione profetica e lo stile del suo agire. Nel tentativo dei suoi compaesani, poi, di eliminarlo e nell’uscita di Gesù da quella situazione critica, possiamo scorgere l’anticipo della Sua morte e risurrezione. Commentando il brano di Isaia, Gesù, l’unto di Dio, ci offre le coordinate e l’orizzonte entro cui dobbiamo calibrare la nostra esistenza di discepoli e il nostro agire pastorale, sigillato dall’unzione sacramentale, che trova il suo compimento profetico nel dono di sé, a imitazione del Maestro».
«In tal senso possiamo fare nostra l’affermazione fondante che autorizza la missione di Gesù: “Lo Spirito del Signore è su di me”. Lo Spirito è il medesimo ricevuto dal Nazareno nel battesimo, nel momento in cui è stato dal Padre proclamato Figlio amato, in cui Egli ha posto il suo compiacimento. Con questa identità filiale Gesù vive il suo lieto annuncio che si concretizza nel suo divenire fratello di tutti, Figlio Unigenito del suo “Abbà”, che è Padre di tutti. L’era messianica così inaugurata ha detto il presule – apre alla piena realizzazione della fraternità universale invocata nella preghiera insegnata dall’unico nostro Maestro: Padre nostro, venga il tuo regno».
«La fraternità che si caratterizza anzitutto come “cristiana”, è altro concreto e umanissimo nome del Regno di Dio, che va compiendosi nella storia, quale frutto primigenio dello Spirito del Risorto, di cui la Chiesa, comunità fraterna dei credenti, piccolo gregge, seme e lievito, è storicamente sacramento dell’universale figliolanza divina» ha evidenziato l’arcivescovo durante l’omelia in Cattedrale in occasione della Messa crismale da poco conclusa.
«La comunità cristiana fraterna “non mira a creare un circolo esoterico fine a sé stesso”, – ha spiegato Morrone citando il papa emerito Benedetto XVI – ma si realizza nel servizio del tutto, mira all’unità dell’umanità. E papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti evidenzia come “dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro”. Da qui il permanente compito della missione evangelizzatrice».
«E non è questo che noi celebriamo spezzando il pane sull’altare della Croce gloriosa, perché nessuno sia privato di questo alito di Vita benedetto e di cui siamo tutti mendicanti?» si è interrogato il presule col popolo di Dio radunato in Cattedrale. «La comunità cristiana sarà credibile nel suo annuncio ad extra se saprà testimoniare ad intra la comunione fraterna. Tanto più allora per noi, cari amici presbiteri, è stringente questa relazione tra ciò che annunciamo e celebriamo e lo stile con cui pratichiamo le relazioni fraterne tra di noi. Sulla nostra fraternità è necessario investire perché non venga meno la credibilità sacramentale e insieme umana della nostra azione pastorale».
Monsignor Fortunato Morrone ha continuato l’omelia specificando come «finché non assimiliamo la dimensione costitutiva della filialità di Gesù, la nostra fraternità, pur consacrata nel Sacramento, rischia continuamente di essere tradita già nel momento in cui spezziamo l’Eucaristia. Allo stesso tempo il governo e la cura pastorale nei confronti delle persone a noi affidate, se non è “altro” rispetto al mondo, andrà nella direzione di un’autoreferenzialità della dignità sacramentale, e sarà inevitabilmente generatrice di autoritarismo paternalistico, a volte sottilmente dispotico, che non ha alcun fondamento cristologico ed ecclesiale, e pertanto non viene dalla fede».
«“Uno solo è il Padre vostro e voi siete tutti fratelli”: su questa parola inequivocabile di Gesù si fonda l’autenticità della nostra reale dignità umana, poiché per questa fraternità Lui non ha esitato a dare la vita, amandoci sino alla fine. Rispetto alla logica mondana del dominio, Gesù non ci ha semplicemente esortato ma con forza imperativa ancora ci supplica: “Tra voi però non è, non sarà, così”» ha spiegato.
«L’evangelista Luca, in verità, nel libro degli Atti segnala che il lieto annuncio proclamato nella sinagoga di Nazaret, contro ogni logica mondana, ha iniziato a mettere radici profonde nella comunità dei discepoli: “Coloro che avevano creduto erano un cuor solo e un’anima sola”. È il frutto benedetto dello Spirito del Crocifisso risorto, l’unzione che viene dall’Alto, – ha proseguito Morrone – con cui sono state impregnate le nostre mani, olio di esultanza per edificare in Cristo comunità fraterne e solidali, concreta speranza in questo mondo disgregato».
«In verità in questa santa sinassi eucaristica, cari presbiteri, celebrate la vostra comunione con il vescovo, tra il vescovo e ognuno di voi nel segno della natura comunionale del sacramento dell’Ordine che ci costituisce ministri di comunione, uomini di comunione con tutti, a cominciare dalle relazioni che intercorrono tra di voi» ha aggiunto l’arcivescovo reggino che è anche il presidente della Conferenza episcopale calabra.
«La costituzione nativa, permanentemente profetica, stile sinodale dato alla Chiesa dal suo Fondatore, si realizza infatti nell’essere comunità di fratelli e sorelle rinati dall’acqua e dallo Spirito, dove il necessario governo sacramentale gerarchico non è tanto nel grado ma nell’ordine cristologico del servizio, vero ministero di autorità, così come farà questa sera Gesù con noi lavandoci i piedi» ha spiegato Morrone riferendosi al rito della Lavanda dei piedi durante la Messa in Coena Domini che sarà celebrata pomeriggio, alle 18, nella Basilica Cattedrale di Reggio Calabria.
Ha proseguito Morrone: «Per questo lo riconosciamo e lo confessiamo Signore e per questa nostra fede ci disponiamo a lavarci i piedi gli uni gli altri, vera unzione dello Spirito, autentica esplicitazione dell’Eucaristia, che precisamente ci fa Chiesa, fondamento genuinamente umano e profumo crismale della nostra fraternità presbiterale».
«Il dono della fraternità, cari amici, possiede in sé una valenza escatologica e, pertanto, è un continuo esercizio sinodale di responsabile accoglienza, così come siamo, guadagnando insieme il compito profetico affidatoci da Gesù: “tra voi non sarà così … vi riconosceranno da come vi amerete”! L’invito del Signore – ha spiegato – necessariamente comporta valorizzare l’ambito sacramentale e relazionale dell’unico presbiterio come luogo di ascolto e accompagnamento, di sguardo cordiale sulle fragilità della nostra concreta vita di preti, in questa Chiesa, in questo mondo».
«Lavarci i piedi gli uni gli altri, secondo la simbolica eucaristica, accresce la fiducia tra di noi, abbatte l’ansia delle prestazioni, ci aiuta a non sentirci “soci concorrenti” nel nostro ministero e ci incoraggia, piuttosto, a “gareggiare nello stimarci a vicenda”. Una tale fraterna amicizia – ha sottolineato Morrone – ci agevola ad abbassare le difese e a non aver paura di mascherare le nostre difficoltà, le nostre inconsistenze e fragilità, puntellandole surrettiziamente dietro le sicurezze degli apparati sacrali, dei ruoli e dei vari pennacchi ecclesiastici».
«Una comune e reciproca accoglienza della nostra concreta esistenza umana votata al Signore, ci dilata lo sguardo fraterno sulle tante e differenti fragilità “altre” delle persone che incrociamo nel nostro ministero. L’autenticità umana, la coerenza e la testimonianza ministeriale richieste legittimamente dalle nostre comunità ci sollecitano – ha detto Morrone – a immaginare nuove e concrete modalità per parlare dei nostri vissuti gioiosi e faticosi, delle sconfitte e delle risalite, per custodirci dalla mondanità, per confermarci reciprocamente nella comune e umanizzante sequela Christi».
«Su questo dovremmo osare ripensarci con creativo coraggio profetico, lasciandoci aiutare anche dal carisma della femminilità delle donne, maestre di fraternità, per crescere nell’ascolto empatico, nella fiducia sincera, nell’accompagnamento non paternalistico» ha chiosato il presule.
Avviandosi verso le conclusioni, l’arcivescovo rivolgendosi ai sacerdoti ha detto «esercitiamoci e investiamo su questo, profittando del cammino sinodale, tempo opportuno di grazia che non possiamo indebitamente sprecare sia per noi sia per le nostre comunità».
«Il Signore, nonostante e dentro le tante fatiche provenienti dal periodo pandemico e l’attuale momento drammaticamente disumano della guerra, ci sta invitando ad un cambio di passo pastorale, a svecchiare senza paura una mentalità e una concezione clericale del nostro benedetto e santo ministero» ha aggiunto Morrone «a metterci in gioco nelle nostre comunità come fratelli accanto ad altri fratelli e sorelle nella fede, quali figli dell’unico Padre e perciò sacramentalmente autorizzati ad essere riflesso della paternità di Dio che guida, accompagna e si prende cura di tutti i suoi figli, dei vicini e dei lontani».
«Questa lieta novella del Regno diventi sempre più il motivo, la ragione, la gioia e la sofferenza, la vera passione della nostra vita sacerdotale. Esercitiamoci pazientemente nella fraterna amicizia – ha concluso monsignor Morrone – lasciandoci umilmente inverare dallo Spirito del Signore Gesù, mentre affidiamo a Maria, amica materna degli apostoli, il nostro comune ministero».