Colgo intanto l’occasione per ringraziarvi per la generosa risposta data alla proposta di vivere, con una scansione mensile, la nostra avventura sinodale, nonostante le difficoltà provocate dalla pandemia ed esprimo il desiderio che la vostra partecipazione sia sempre più creativa, critica e corresponsabile. Nonostante tutte le nostre personali e comunitarie ammaccature, siamo la Chiesa di Dio in questo fazzoletto di terra reggina – bovese. Alimentiamo, dunque, questa grata consapevolezza alla luce della Parola del Signore Gesù, per essere anche noi luce e sale, speranza certa in questo nostro difficile tempo. Il “cambiamento d’epoca” (papa Francesco) che stiamo vivendo, non consente di rimanere spettatori passivi e lamentosi, ma esige da noi un protagonismo nuovo e una maturità umana che si realizza in forza della nostra fede che ama la terra, un cambiamento di prospettiva, una nostra radicale conversione interiore, culturale, pastorale e, per i cristiani impegnati a servire la città degli uomini, politica e amministrativa.
L’attuale crisi è opportunità
La crisi generale, accentuata in questi due ultimi anni dal Covid, che continua a incidere nel quotidiano delle relazioni sociali, famigliari e fin dentro le nostre parrocchie e associazioni, è una grande opportunità per capire cosa è essenziale nella nostra vita e quindi ci spinge a ripensarci come chiesa, specchiandoci nel Vangelo di Cristo. All’interno degli avvenimenti locali e globali – non da ultimo il dramma della guerra russa-ucraina – che accadono sotto i nostri occhi e che trasversalmente toccano anche noi, dobbiamo esercitarci a porgere un orecchio attento alle molteplici istanze positive e, insieme, alle criticità, alle problematiche sociali, culturali, economiche, ecologiche, affettive, educative antiche.
Aprire il cuore al grido delle giovani generazioni
Desideriamo, soprattutto, aprire il cuore all’accoglienza del grido che proviene forse in maniera confusa dalle giovani generazioni. Sono esigenze e segnali che provocano e interpellano le ragioni della nostra fede, il nostro stile di vita, la nostra mentalità, le nostre abitudini religiose e culturali. Anche noi cristiani vogliamo domandarci quali modelli antropologici ed etici siano comprensibili nel nostro tempo, dato che tutto sembra relativizzato, fluido; cos’è realtà, dato che essa è sempre più contaminata dal virtuale e deviata dal recente avvento del metaverso; cosa sia mai l’essere umano, quale sia il valore della sua vita, il mistero del suo inizio e della sua morte, l’ambiente cosmico di cui siamo parte e custodi. Non possiamo ignorare le urgenti sollecitazioni di questo tempo né dare risposte affrettate, preconfezionate e inadeguate, a volte prelevate dal nostalgico museo del com’eravamo.
Siamo nel guado, non facile da attraversare, di questa meravigliosa e faticosa stagione storica, certamente tempo dello Spirito che come comunità cristiane siamo chiamati a leggere e discernere insieme i segni di questo tempo, per operare scelte pastorali creative e coraggiose, evangelicamente orientate al bene di tutti i figli e le figlie di Dio che abitano questo nostro territorio, a cominciare dagli ultimi e dagli “invisibili” ai nostri distratti occhi e che pur si accontentano delle briciole che cadono dalle nostre mense (cfr. Mt 15,28).
Quaresima, tempo opportuno per il cammino sinodale
Ecco carissimi, la Quaresima è tempo particolarmente propizio dello Spirito, tempo opportuno per il nostro cammino sinodale. Torniamo a seguire il Maestro e impariamo di nuovo da Lui l’adeguato atteggiamento credente, di nuovo orientiamo il nostro sguardo e riposizioniamo dietro a Lui i nostri passi senza voltarci indietro. “Le cipolle d’Egitto” sono una continua tentazione, una tremenda distrazione rispetto al compito che ci attende: far lievitare la speranza promuovendo il bene presente nel cuore di tutti.
Il tempo liturgico dei “quaranta giorni” prima della Pasqua, lo vivremo ancora in fase di pandemia che, da quanto riusciamo a capire, sembra stia allentando la sua morsa. In quest’ultimo periodo veramente difficile, abbiamo desiderato e poi sperimentato l’impagabile bellezza della solidarietà, dell’aiuto reciproco, della comunicazione “in presenza”, della dolce compagnia degli amici con la scusa di una pizza “fuori casa”, del calore umano che il freddo virtuale non può offrire né sostituire. La gioia quasi incontrollata di incontrarsi finalmente a scuola o in parrocchia, in piazza o nei luoghi dei classici appuntamenti fine settimana, è il segnale chiaro che senza libertà soffochiamo. Le restrizioni ci vanno strette, mentre sono evidenti le fessure di disuguaglianze nella struttura economica che rischiano di compromettere la tenuta relazionale delle varie realtà che compongono l’organismo sociale del nostro territorio.
Ma emergono anche le ferite affettive e psicologiche nell’esistenza dei nostri ragazzi e giovani che più di noi adulti hanno patito il non poter uscire da casa. “Stare dentro” e obbligati a varie limitazioni di movimento, spero abbia fatto prendere consapevolezza della preziosità dell’amicizia sociale ma, nello stesso tempo, della responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti degli altri. Insieme si procede nel cammino, da soli ci si perde.
Le ceneri: tocco amorevole delle mani di Dio
Nel primo passo del cammino quaresimale, il “mercoledì delle ceneri”, riceveremo sulla testa un po’ di cenere. Il presbitero che presiede il rito accompagna questo gesto con le parole: “Ricordati che sei polvere, convertiti e credi al Vangelo”. “Sei polvere” è una parola di verità, di sano realismo che in genere, per una superbia che tutti abita, rifiutiamo fin quando l’imponderabilità degli eventi, la morte di una persona cara, un drastico licenziamento, il tradimento di un amico, un incidente, un evento come la recente pandemia, ci costringono, almeno per un momento, ad accorgerci della nostra fragilità e vulnerabilità. Ma la cenere allo stesso tempo ci richiama al nostro essere parte integrante di quest’immenso universo, misteriosamente connessi alle miriadi di galassie che lo compongono. Il movimento delle dita che sparge la cenere è memoriale che siamo opera del tocco amorevole delle mani di Dio, continuamente e pazientemente plasmati nei giorni della nostra vita, perché in noi si mostri tutta la bellezza umana che confessiamo e riconosciamo in Gesù, nostro fratello e Signore. Pur essendo impastati di carbonio, di “polvere di stelle”, siamo chiamati a vivere da figlie e da figli di Dio, Padre di tutti in Gesù.
Ecco, la cenere ci rimanda al nostro essere effimero, non siamo “dio”, e tuttavia, le mani del Creatore riaffermano la Sua iniziativa appassionata, impastandoci sempre nuovamente di divinità. Questi due estremi, quasi una contraddizione in termini, possiamo, metterli insieme, nella cerniera dell’umiltà: pur essendo humus, terrosi, polvere, siamo chiamati a vivere all’altezza dell’umanità divina di Gesù. La nostra grandezza è nella consapevolezza del nostro essere limitati, nella coscienza sempre rinnovata che nessuno basta a se stesso, che siamo fame e sete di relazioni, di sguardi amichevoli, di sostegno, di compagnia, di vicinanza. Quando ne facciamo esperienza ci sentiamo accolti, a casa, respiriamo. Troppo facilmente ce ne dimentichiamo. E quando questo accade, rischiamo di divorare, di annientare gli altri, di adulterare i rapporti umani di cui tutti ci nutriamo, e da cui dipendiamo.
Allora curiamo in questo tempo la sordità del cuore per non trovarci nell’assurdo della solitudine assordante e avvilente del peccato che tutti mortifica e distrugge, in tutti gli ambienti della socialità umana: ecclesiale, economica, politica, culturale, ludica, famigliare.
Aprirsi all’ascolto di sé stessi e degli altri
Come medicina in questo tempo speciale di Quaresima, accogliamo con piena disponibilità la Parola che apre la nostra vita personale e comunitaria all’ascolto attento, accogliente, non pregiudizievole tra di noi e in special modo dei cosiddetti “lontani”. Impariamo ad ascoltarci in stile certamente personale, ma non solipsistico, piuttosto comunitario. È il tema che ci sta accompagnando in questo cammino sinodale per conoscerci più in profondità e stimarci reciprocamente come membri dell’unica famiglia di Dio, ma anche per porgere l’orecchio alle voci umane che incrociamo ogni giorno e, se pur non sono parte dei nostri ambienti ecclesiali, culturali, etnici, sappiamo che sono donne e uomini amati da Dio e mediante cui Dio ha una parola da dirci, una luce da offrirci per le scelte che siamo chiamati a fare.
Siamo certi che la luce dello Spirito, ci condurrà anche attraverso la Lectio mensilmente guidata dagli Atti degli Apostoli, prima, originaria e normativa esperienza ecclesiale su cui siamo chiamati a verificare la nostra. La fatica necessaria dell’ascolto reciproco, quasi esercizio di carità per custodirci gli uni degli altri, ci aiuterà a fare discernimento insieme, riconoscendoci nella medesima dignità battesimale, tutti unti di Spirito Santo. L’ascolto reciproco, in un dialogo fraterno, leale, franco e costruttivo, nella dinamica sinodale non è una possibilità, è una necessità vitale per il nostro essere Chiesa, quale popolo di Dio che cammina insieme con tutti i suoi membri, aperto, nelle singole comunità parrocchiali, a coltivare il dialogo con tutti: battezzati non praticanti, persone non cristiane e non credenti, chi non la pensa eticamente come noi e chi da noi è considerato “diverso”, a volte “impuro”, chi è ai margini sociali e chi si trova in carcere. Il vissuto che ascoltiamo dagli altri dentro e fuori le nostre comunità, le luci e le ombre, le criticità e le bellezze che attraversano la vita ecclesiale, il grido dei poveri e degli scartati, sono una parola di cui Dio si serve per parlarci, oggi, per una chiesa rinnovata che aiuti anche la società a rinnovarsi.
Il valore dell’ascolto autentico
Carissimi l’ascolto autentico è una grande fatica, è una lotta, quasi un corpo a corpo spirituale, poiché richiede di mettere in campo le nostre migliori energie, combattendo l’istintuale egocentrismo narcisista, l’autorefenzialità personale e collettiva, il subdolo desiderio di primeggiare e dominare sugli altri, di possedere i loro cuori e le loro coscienze! È un vero e proprio esodo da se stessi per incontrare e accogliere le persone, a cominciare dai “nostri”, con le loro ragioni, i loro errori, le loro paure, le loro qualità. È un decentrarsi, un fare spazio all’altro, all’altra, a Dio stesso, l’Unico che in Gesù ci ascolta, che conosce i battiti profondi del nostro cuore, l’Unico che raccoglie le nostre lacrime di dolore e di gioia. L’ascolto, che non è scontato neanche nelle nostre famiglie, è parte del nostro “culto spirituale” quale dono di sé (cfr. Rm 12, 1-2), atto di fede che opera nella carità (cfr. 1Cor 13) poiché è l’atteggiamento esistenziale di chi intende “adorare il Padre in spirito e verità” (cfr. Gv 4,23), cioè nel tempio vivente dei volti delle persone, lì dove il Dio di Gesù si rende presente e ci chiede di riconoscerlo, di ascoltarlo e accoglierlo nel segno della misericordia (cfr. Mt 25, 35-44), vero “sacrificio” quaresimale a lui gradito (cfr. Mt 9,13; Os 6,6).
Già questo basterebbe a comprendere il senso cristiano della penitenza: riconoscere e sconfessare i nostri deliri egocentrici ed egoistici, cattivi, che tanta ingiustizia e distruzione generano, prendere dunque le distanze dal peccato conseguente compiuto per poi attivare con determinazione, con la forza dello Spirito, processi costruttivi di carità fraterna.
Riprendendo la lezione magisteriale di papa Francesco, siamo sollecitati in questo cammino sinodale a passare, fare esodo, dall’io al noi, dall’io collettivo al noi sociale, dall’io identitario corporativo e associazionistico al noi comunionale. Per noi calabresi-reggini, se desideriamo spezzare l’accerchiamento rassegnato e degradante di una cultura che mortifica e blocca la crescita sociale, imprenditoriale, economica e politica della nostra terra, di cui un frutto velenoso è “l’emorragia di tanti nostri giovani”, è necessario, carissimi, passare dall’io familistico, infiltrato nella nostra atavica mentalità con tutti i danni che continua a produrre, al noi consorzio della famiglia umana, della famiglia sociale, della famiglia ecclesiale. Dall’ io al noi per pensare e agire plurale, in fondo è il senso, in questa via, della cattolicità della Chiesa.
L’invito di monsignor Morrone per la Quaresima
Il nostro esercizio quaresimale è nella conversione all’ascolto reciproco, nello stile e nella postura ecclesiale della sinodalità, per riappropriarci del nostro essere casa e famiglia di Dio. Il cammino sinodale intrapreso è in sostanza l’attuarsi, nelle dinamiche relazionali dei credenti, della comunione che struttura il mistero intimo della Chiesa, riflesso della Comunione trinitaria di Dio, che di domenica in domenica celebriamo nella S. Eucaristia.
Nel comune e attento ascolto di ciò che lo Spirito dice alla nostra Chiesa (cfr. Ap 2,7), poiché se manca Lui non c’è cammino sinodale (papa Francesco), vi chiedo allora, di continuare a riflettere e lavorare generosamente insieme anche a partire dalle domande che vengono poste per un comune discernimento, per capire dove lo Spirito del Signore ci sta conducendo attraverso l’esodo dell’oggi, per scoprire cosa abbiamo imparato in questi ultimi anni di pandemia, quali sentieri nuovi siamo chiamati a percorrere per rinnovarci come comunità ecclesiale e per portare a tutti il Vangelo.
Ci sostenga e ci conforti nel nostro cammino la presenza materna di Maria, donna della Consolazione.
Vi saluto cordialmente e vi abbraccio in Gesù, Signore nostro, nostra gioia.
+ Fortunato Morrone, Arcivescovo