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Essere buoni cristiani è saper riconoscere i propri errori

Abbiamo anche sottolineato che è possibile vivere secondo quello spirito, nella misura in cui sappiamo seguire come vero maestro Colui “che da ricco si è fatto povero”, Colui “che non è venuto per essere servito, ma per servire”. Sempre in questa logica, domenica scorsa abbiamo accolto come possibile addirittura la capacità di perdonare chi ci ha fatto del male e di amare i nostri nemici. Aggiungiamo oggi un altro tassello di sapienza che ci ricorda che la fede cristiana non è tanto accoglienza di verità astratte quanto un programma di vita necessario per un’autentica realizzazione, una vera felicità. Ciò non identifica il cristiano con lo scrupoloso osservante della Legge o ancora peggio col bigotto moralista, ma col testimone credibile di quanto professa con la sua bocca. Alla luce di tutto ciò possiamo comprendere la serie di indicazioni/consigli evangelici proclamati oggi dal Vangelo.
La prima indicazione ci ricorda che non è possibile a un cieco fare da guida agli altri. Il pensiero qui naturalmente va agli educatori, agli insegnanti, a quanti nella società e nella Chiesa hanno il compito di guidare e governare. Noi cristiani cattolici non possiamo non considerare guide spirituale i Pastori, in particolare vescovi, sacerdoti e diaconi, ma anche laici impegnati, come catechisti, responsabili di gruppi, operatori pastorali in genere. A tutti loro è rivolto l’invito a riscoprire l’insegnamento di Gesù ad avere occhi liberi e cuore grande per adempiere il proprio ministero. Segue un’altra indicazione diventata proverbiale, ossia che non si può togliere la pagliuzza dell’occhio del fratello se prima non si elimina la trave nel proprio. Anche qui vi è un forte invito a vincere l’ipocrisia, una delle tentazioni più grandi che porta ad indossare la maschera della falsità, presentandosi come i perfettini di turno, gli irreprensibili in carriera, pubblicizzando ed esaltando i limiti e i difetti degli altri, e nello stesso tempo coprendo e sminuendo i propri. Quante persone, a forza di essere falsi profeti e venditori di fumo, hanno tradito la loro missione di guide sagge e maestri illuminati, con la conseguenza che, invece di camminare e far camminare per la via della verità, sono caduti e fanno cadere nel burrone della falsità e dell’errore!
È ancora Gesù a ricordarci che “un albero buono produce frutti buoni e uno cattivo frutti cattivi”. Davanti a questo insegnamento non possiamo non chiederci: ma io che albero sono? Che frutti produco? Vivere da cristiani allora non significa pretendere che altri portino frutti buoni, ma impegnarsi con ogni mezzo a che ognuno faccia la sua parte. Da questo dipende la nostra credibilità. Non tanto il gusto di fare un po’ di moralismo a buon mercato, quanto essere “cristiani credibili, piuttosto che cristiani credenti”, memori delle parole di sant’Ignazio di Antiochia: “È meglio essere cristiani senza dirlo, piuttosto che dirlo senza esserlo”.
L’ultima espressione del vangelo si riferisce all’uso della parola, della bocca che parla, per dirla in latino, “ex abundantia cordis”. Questa frase ci ricorda che a volte si può fare male non solo con le azioni, ma anche con le parole, non a caso diciamo che “uccide più la lingua che la spada”. Dobbiamo riconoscere che la nostra bocca parla sempre in base a quello che abbiamo nel cuore e pronuncia parole di benedizione se esso è pieno della Parola di Dio, parole distruttive se invece è pieno di amarezza e risentimento. Tra pochi giorni entreremo nel tempo liturgico quaresimale: non potrebbe essere un serio impegno digiunare dalle parole superflue e offensive, dalle parole di critica, se non di diffamazione? Lo Spirito di Dio ci guidi nel deserto della discrezione e del silenzio, forse poco gratificante, ma indubbiamente molto santificante.