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Si può amare il nostro nemico? Il Maestro ci dice come

Già la volta scorsa avevamo accennato che Luca non parla di discorso della montagna, ma della pianura, forse perché preferisce mettere in luce non tanto la difficoltà di salire l’erta della montagna quanto la possibilità di percorrer una strada accessibile a tutti, anche ai meno forti e temprati spiritualmente. Ma è possibile anche oggi amare i propri nemici, fare del bene a coloro che ci odiano, benedire coloro che ci maledicono, pregare per coloro che ci maltrattano? Per molti che pur si dicono cristiani è persino impossibile parlarne, proporre una cosa così assurda e impensabile. Quanta gente di chiesa non esita a far proprio la famosa espressione “Dio perdona, io no”? Oppure, come quel pio parrocchiano, ogniqualvolta proclamavo il vangelo del perdono al proprio fratello prima di presentare l’offerta all’altare, mi diceva sottovoce: “Parroco, girate foglio, passate avanti perché questa pagina non fa per me”. E allora cerchiamo di dare insieme una risposta alla “spinosa” questione non tanto per fare disquisizione bibliche o teologiche ma per imparare l’arte dell’amore o, usando l’ormai nota espressione di papa Francesco, “la rivoluzione della tenerezza”.
Innanzitutto mettiamo al primo posto la conclusione del vangelo di oggi che proclama: “Amate… Fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo”. Ma non è la stessa conclusione delle beatitudini che ribadiva: “Rallegratevi ed esultate perché ecco la vostra ricompensa è grande nel cielo”? Prospettive future, sguardi lontani, realtà escatologiche che non sono promesse irrealizzabili, ma spazi d’amore possibili, traguardi di tenerezza raggiungibili, impegni concreti di misericordia a portata di mano. Ecco allora che solo così quello che appare addirittura inaccessibile e improponibile ci sembra accessibile e realizzabile, perché non leggiamo più le offese, le mortificazioni, gli “sgarri” che gli altri ci fanno in una logica terrena e mondana, ma eterna e celeste. Da qui la vera virtù eroica dei santi della chiesa cattolica di ieri di oggi, racchiusa in un’espressione del poverello d’Assisi, che amò e imitò così tanto Gesù fino a somatizzarne i segni della passione, giungendo nei momenti di interminabile agonia e indescrivibile dolore fisico e spirituale a dire: “Tanto è il bene (nel cielo) che mi aspetto che ogni pena mi è diletto”.
Non abbiamo la possibilità di soffermarci a riflettere sugli imperativi d’amore offertici da Gesù, né tanto meno sulle azioni negative alle quali dovrebbero corrispondere delle risposte positive. Se volessimo parlare solo di perdono in generale non sarebbero sufficienti tutte le colonne di un intero giornale o le pagine di un grande libro. Perdono in generale perché non è detto che il perdono sia da attribuire solo ai nemici, ai lontani e agli avversari, ma a anche ai propri amici e colleghi, persino ai propri parenti stretti. Ma perché un padre e una madre non sono forse chiamati a perdonare i propri figli e viceversa i figli non sono chiamati a perdonare i loro genitori quando sbagliano? Ora, se già facciamo fatica a perdonare le persone più a noi vicine, come possiamo pensare di perdonare ai lontani? Se è assurdo che io perdoni i miei consanguinei, come posso pensare di perdonare quelli con i quali non ho nessun legame di razza, lingua o nazionalità? Ci venga in aiuto la cosiddetta regola d’ora della vita cristiana: “Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”. Una legge possibile per tutti coloro che vogliono vivere bene la vita presente e ottenere un giorno quella del cielo, che non avrà mai fine.