Le beatitudini rispecchiano innanzitutto la persona di Gesù, ma sono anche la vera identità del credente, di colui che è disposto a vivere secondo gli insegnamenti di Cristo, ricevendo così la promessa della salvezza eterna. Colpisce il fatto che, mentre nel vangelo di Matteo il discorso di Gesù viene fatto sul monte, in quello di Luca avviene in un luogo pianeggiante. Secondo alcuni questo è un modo per esprimere una maggiore vicinanza da parte de Maestro, che intende porsi più a contatto con i presenti. Interessante anche l’indicazione dell’evangelista circa quest’ultimi, provenienti da tanti luoghi diversi, per ricordare che il messaggio non è per un gruppo ristretto di brava gente, ma per tutti gli uomini della terra che intendono seguire Gesù.
Un’altra differenza rilevante è che in Matteo le beatitudini sono otto, mentre in Luca sono solo quattro, a cui si aggiungono altre quattro indicazioni di segno contrario. Mentre le prime quattro dicono che sono beate altrettante categorie di persone e precisamente poveri, affamati, quelli che piangono e perseguitati, le secondo quattro sono presentate con il termine “guai”, scongiurando in al modo la tentazione di essere ricchi, sazi, gente che ride e persone di successo. A tutti è rivolto il medesimo invito: mettete Dio al primo posto ed evitare l’idolatria. Ce lo ha ricordato papa Francesco in una sua bella omelia: “Idolatria ed idoli sembrano cose di altri tempi, ma in realtà sono di tutti i tempi. Anche oggi. Descrivono alcuni atteggiamenti contemporanei meglio di molte analisi sociologiche”. L’insegnamento di Gesù allora va letto innanzitutto come un modo concreto per vivere alla luce della fede, ossia riscoprendo il primato di Dio nella vita. Ciò significa che se Dio è il nostro Dio, tutto deve dipendere esclusivamente da Lui, in primis la nostra felicità, termine che la Bibbia traduce con beato/benedetto. Tale concetto è espresso da Geremia, che proclama “beato chi confida nel Signore”, e “maledetto l’uomo che confida nell’uomo”. La domanda allora che dobbiamo porci è: in chi noi confidiamo? Da che cosa dispende la nostra felicità? E ancora, a chi diciamo noi “beato tu”? Non certo ai poveri, agli affamati, agli ultimi del mondo, ma beato tu che stai bene, che hai un posto fisso e non ti manca ogni mese il tuo stupendo; beato tu che hai tanto successo con le donne e nella società. Ancora una volta allora il Vangelo insegna con forza che essere cristiani non significa essere gente insensata ed idiota, ma significa seguire la logica di Dio e cercare di vivere secondo lo stile di Cristo, facendo propri i pensieri di Dio anche quando non sono i nostri pensieri e seguendo le vie di Dio anche quando queste non coincidono con le nostre vie.
E tutto questo perché? La risposta sta nelle conseguenze future di coloro che sono disposti a vivere secondo le beatitudini: sarete saziati, riderete, sarete felici per sempre. E, per dirla con una sola parola che racchiude questa felice sorte futura, “perché grande è la vostra ricompensa nel cielo”. Di certo uno degli errori più grandi dei cristiani sta proprio nel non saper aprire il cuore all’eternità, nel buttarci a capofitto sulle cose della terra e non pensare a quelle del cielo o, parafrasando le parole della preghiera di colletta di questa domenica, nel dimenticare che “Dio promette il suo regno ai poveri e agli oppressi e resiste ai potenti e ai superbi”. Per questo è essenziale vivere non secondo lo spirito di questo mondo, ma “secondo lo spirito delle beatitudini proclamate da Gesù Cristo”.