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Cristo ritornerà, attendiamolo con fiducia e speranza

L’Avvento è il tempo dell’attesa della venuta di Cristo. La comunità cristiana si dispone all’attesa del Veniente, che si realizzerà in due forme essenziali. La prima è quella liturgica che celebreremo contemplando il mistero del Santo Natale, ossia la memoria della venuta storica del Signore. La seconda è quella che noi indichiamo con il termine parusia, ossia la venuta gloriosa alla fine dei tempi, quando, come affermiamo nella professione della nostra fede, Egli “verrà a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine”. Entrambe le venute sono accompagnate dallo stesso atteggiamento e dalla stessa virtù: la speranza. Quando noi parliamo di speranza non vogliamo indicare solo un pio sentimento o una buona qualità personale, ma la certezza che Dio compirà le sue promesse, che Egli ci darà quanto anticipato, che non deluderà le nostre attese. Tale concetto è ben espresso da una bella canzone tipica del tempo liturgico dell’Avvento, dal titolo: “Lui verrà e ti salverà”, che ci fa dire: “A chi è nell’angoscia tu dirai non devi temere… quando invochi il suo nome, Lui ti salverà”.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che noi, pur dicendoci cristiani, speriamo sì, ma partiamo con il piede sbagliato, nel senso che la nostra attesa è accompagnata da mille incertezze, dubbi e paure. Quando diciamo “speriamo”, lo facciamo sì con facilità e immediatezza, ma in fondo percepiamo anche un senso di grande sfiducia e perplessità, affidandoci più a una sorta di calcolo delle probabilità, che a un vero e proprio atto di fede. Quanto bisogno abbiamo di scoprire la speranza, come fondamento della nostra fede e anima della nostra carità! Se accogliamo e viviamo il tempo di Avvento, al di là delle devozioni, riti e cerimonie, ma con uno sguardo di speranza, non lo avremo vissuto invano, non sarà per l’ennesima volta un tempo sprecato, ma il kairòs di Dio, il tempo cioè nel quale il Signore certamente viene e tocca la nostra vita trasformandola positivamente dal di dentro.
Il Vangelo di questa prima domenica è tratto dal cap. 21 di Luca che appartiene, come dicono i biblisti, al genere apocalittico, indirizzato alle prime comunità cristiane che aspettavano in modo imminente la seconda venuta del Signore, appropriato dunque per esortare alla pazienza, a saper tener duro, ad essere sempre forti e perseveranti anche davanti alle persecuzioni. L’invito è naturalmente oggi rivolto a noi cristiani del terzo millennio. Anche noi siamo chiamati in particolare a non perdere grinta e smalto nel nostro cammino insieme (sinodalità) verso di Lui. Gesù nel vangelo odierno parla di “angoscia di popoli in ansia” per la le catastrofi naturali imminenti, di gente che muore per la preoccupazione e la paura perché “le potenze dei cieli saranno sconvolte”. Come non riconoscerci in questa situazione, in particolare anche nell’ultimo periodo, nel quale certamente non sono mancati momenti di ansia, angoscia e preoccupazione davanti alla terribile pandemia Covid-19, giunta addirittura alla sua quarta ondata? Gesù ci offre la soluzione: risollevarsi e alzare il capo. Non ci è dato di chiudere gli occhi, di fare cioè come gli struzzi che mettono la testa sotterra per non vedere i problemi. Non ci è dato di abbassare lo sguardo, di chinare il capo per terra, ma di tirarci su con l’anima e con il corpo. Inoltre, si tratta di non farsi prendere da atteggiamenti e sentimenti negativi che il Vangelo identifica con “dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Infine vegliare e pregare. La preghiera diventa così saper attendere, ossia ad-tendere, alimentare una necessaria tensione che va oltre la paura e l’angoscia e che ci porta ad una serenità carica di luce, di gioia e di pace.