Infatti Gesù non si limita ad emettere sentenze di condanna o di scomunica tanto per il gusto di farlo, ma in tutto ciò che dice si riferisce a immagini e scene che erano sotto gli occhi di tutti. Il linguaggio in parabole è la prova di questo suo stile. Anche oggi due scene apparentemente normali per la vita che si svolgeva all’interno del tempio, ma preziosissime per Gesù che le sceglie come messaggi finali del suo insegnamento evangelico. Il primo gli viene offerto da un atteggiamento emblematico della casta religiosa, ossia il passeggiare gli scribi in lunghe vesti nei sacri ambienti, mentre si gloriano degli onorevoli saluti, intenti ad occupare i primi posti per ostentare la loro superiorità e prestigio. Il secondo sempre nel tempio è offerto dalla presenza di una vedova povera. Per Gesù le due scene sono veramente un’occasione imperdibile per ricordare ai discepoli di ieri e di oggi cosa è veramente essenziale nella vita cristiana. Indubbiamente la mania di grandezza e la logica dell’apparire sono tentazioni che non terremo mai a bada, soprattutto chi è chiamato a rivestire un ruolo o incarico di tutto rispetto. Lo ricordava recentemente l’arcivescovo Morrone, in particolare a noi preti, nell’omelia di apertura del grande Sinodo, lo scorso 10 ottobre: «Desideriamo sopravanzare, primeggiare, fare carriera, avere titoli e pennacchi vari. Desideriamo la gloria palesemente esibita o truccata dietro la maschera della timidezza abbellita da falsa umiltà, ma reclamata appena l’altro mi anticipa e mi precede sfacciatamente nella richiesta della poltrona, lasciandomi nel livore rabbioso della gelosia. Ne deriva che l’impegno ad acquisire uno stile di vita umile e sobrio diventa non un optional, una scelta facoltativa, ma una conditio sine qua non per tutti i battezzati per vivere da veri cristiani e per tutti gli uomini di Chiesa (vescovi, preti, diaconi e religiosi) per divenire ogni giorno di più pastori secondo il suo cuore». Nella seconda scena abbiamo già un grande insegnamento nella presentazione della povera vedova, diametralmente opposta agli scribi: ella è tragicamente sola rispetto al folto e nutrito gruppo di ricchi. La differenza viene rimarca anche dalla diversa quantità di denaro versato: la prima appena un soldo, i secondi molte monete. Anche qui l’insegnamento di Gesù non lascia spazio a discorsi equivoci. Eppure che fatica che facciamo ad entrare nella logica della povera vedova! Il discorso non è tanto quello di esortare i fedeli alla generosità delle offerte per le nostre benemerite collette di carità, ma è qualcosa di più essenziale e vitale, per di più Gesù non chiede qualcosa del nostro superfluo, ma tutto di tutti noi stessi. Chi di noi al posto di quella donna in possesso di due monetine non avrebbe detto: «Una la do in offerta e una la tengo per me: dovrò pur mangiare qualcosa!». Lei no, come annota il vangelo dà tutto quello che aveva per vivere, o meglio «diede tutta la sua vita». Chiediamo allora un cuore nuovo, un cuore capace di amare Dio, superando le nostre false religiosità, impostate tutte sull’apparire e sul mettersi in mostra, e facendo finalmente nostra la capacità di amare e servire il prossimo non a parole, altrimenti, se già non sappiamo dare quello che ci appartiene materialmente, come sapremo dare la vita per i fratelli? Accogliamo di cuore gli insegnamenti di papa Francesco, che non perde occasione di auspicare una Chiesa povera per i poveri, invitando tutti a rinunziare al nostro stile di vita, che egli definisce semplicemente “mondano”, e a schierarci dalla parte degli ultimi, degli «scarti della società», che appunto per questo nessuno cerca, desidera e ama.