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L’umiltà non è una “teoria”, ma un pilastro dell’identità cristiana

Gesù lo spiega e rispiega ai suoi discepoli affinché comprendano la prova più grande del suo essere Figlio di Dio: questo insegnamento ha il suo apice nel dono della sua vita, nella sua morte in croce per noi. Non a caso Gesù parlerà di “bere al suo stesso calice” di amarezza, dolore e sofferenza. È poi particolarmente significativo il fatto che la richiesta tanto pretenziosa, quando assurda di “essere i primi” provenga da Giacomo e Giovanni, che insieme a Pietro ricoprono secondo i vangeli un ruolo d’eccezione; difatti Gesù li vuole sempre con sé nei momenti più importanti del suo ministero. Quindi nessuno è escluso dalla tentazione della superbia, del carrierismo, del potere; tutti ci riempiamo la bocca di parole altisonanti come umiltà, servizio, nascondimento, abnegazione, ma guai ad essere messi da parte, guai a non essere considerati tra i primi della classe, guai quando i posti di prestigio sono già stati riservati ad altri e occupati da persone a nostro giudizio sempre meno adeguate e capaci di noi! Quanta strada ancora da fare per accogliere e far nostro quello che dovrebbe essere uno degli insegnamenti fondamentali del nostro essere discepoli del Signore.
Lo sperimentiamo quotidianamente nelle nostre comunità, dove il più piccolo servizio rischia di trasformarsi in un trampolino di lancio per la carriera, un esercizio di potere intoccabile. Le conseguenze che ne derivano sono le stesse descritte nella pagina evangelica odierna: incomprensioni, malumori, litigi e alterchi. Che fatica poi per chi di dovere ricostruire la comunione, la fraternità, la pace, distruggere il veleno che serpeggia e che inevitabilmente alza muri e barriere, rovina relazioni umane, consuma la gioia di stare insieme come fratelli.
Gesù ci spiazza come sempre e lo fa concretamente con due indicazioni chiare e inconfutabili per la sua comunità: la prima è quella di non essere alle stregua delle altre istituzioni umane, di non seguire le logiche dei “governanti delle nazioni che dominano e i capi che opprimono”, di non emularne le linee programmatiche riassumibili nella drammatica espressione “mors tua, vita mea”, che si oppone drasticamente al suo disarmante “Tra voi non sia così”; la seconda consiste nel fulgido esempio da seguire, quello del Figlio dell’uomo che “non è venuto per essere servito ,a per servire e dare la vita in riscatto per molti”.
Ma è possibile ribaltare in modo così assoluto un parametro fissato nella vita e nella storia del mondo dove da sempre c’è chi comanda e chi obbedisce, chi sta sopra e chi sta sotto? Gesù è convinto di sì, addirittura non solo a livello umano, ma anche teologico: persino nel vecchio catechismo ci avevano insegnato che “Dio ci ha creati per amarlo, servirlo in questa vita”, mentre Egli stesso ci ha detto che Dio è venuto per amare e servire ogni uomo, anche l’ultimo, l’insignificante, lo scartato. Come fare allora nostro questo stile di vita che ci insegna un modo esageratamente alternativo di essere leader? La lavanda dei piedi è stata solo l’ultima icona di Gesù maestro-servo affidata a noi, come memoria e come esempio che non lascia spazio a manie di grandezza, voglie esagerate di dominio sugli altri. È necessaria allora una profonda conversione che si acquisisce non discutendo sull’argomento “potere e servizio”, nè disertando dall’esercizio dell’autorità quando ci viene chiesto e affidato, ma entrando in una logica nuova, che ci invita a superare la volontà di grandezza e di potere, a quietare il nostro cuore insaziabile per trovare pace, consolazione e serenità nell’esempio di Colui che noi amiamo chiamare Maestro e Signore e che ha amato servendo, ha vinto perdendo e ha salvato morendo.