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Nessuno escluso, Gesù ci insegna a essere Chiesa

I vangeli non esitano a raccontare le debolezze e le fragilità degli apostoli, i quali dovrebbero essere i primi garanti e testimoni della Parola del Signore. Basta leggere i vangeli delle ultime domeniche per scoprirne diverse: in primis Pietro a Cesarea cerca di salvare Gesù dalla sua fine ingloriosa invece di lasciarsi salvare da Lui, ponendo così come pietra d’inciampo (scandalo) pur di non intaccare la sua mania di grandezza e di protagonismo. Prima ancora invece sono i discepoli che, nonostante abbiano assistito a tanti segni e prodigi operati da Gesù, girano le spalle e se ne vanno quando lo stesso Maestro comincia ad usare un “linguaggio duro”, istruendoli sull’essenzialità del pane della vita eterna. Mi pare molto significativo il fatto che molti studiosi attribuiscano a questo particolare di evidenziare le debolezze degli apostoli un segno di autenticità dei vangeli. Difatti di chi, alla guida di una comunità, sarebbe disposto a trasmettere ai posteri fragilità proprie e del gruppo di appartenenza? Se questi aspetti di fragilità vengono invece evidenziati senza sconti dagli evangelisti, significa che i loro testi non sono inventati o scritti al tavolino.
L’insegnamento di Gesù del vangelo di oggi è lapalissiano: “Non c’è nessuno faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me”. Un principio chiaramente inclusivo per tutti quelli che operano il bene e praticano la giustizia al di là della razza, della religione, del colore politico, della nazionalità. “Nessuno escluso mai”, sono le parole famose del nostro grande prete reggino don Italo Calabrò, divenuto quasi uno slogan per tutti gli operatori della carità e dunque per quanti si dedicano al servizio dei poveri e dei sofferenti. E come suona bella quell’espressione “chi non è contro di noi è per noi”, altro che quella più nota e usata nel nostro gergo, “o con noi o contro di noi”, che fonda posizioni di arrogante chiusura e intollerante pretesa di superiorità ed esclusività.
E poi una promessa che certamente non sarà mai disattesa dal Maestro divino: Che bello Gesù non ci chiede di condividere cose grandi e di eccezionale valore, ma qualcosa della quale tutti possono disporre, anche i meno ambienti e facoltosi, un bicchiere d’acqua, proprio per dire che non dobbiamo aspettare di avere chissà quali doni, carismi e capacità per metterci al servizio dei fratelli, ma ciò che serve è solo un minimo di buona volontà e quel poco che siamo e abbiamo per costruire il regno di Dio.
Il brano odierno si conclude con una richiesta che a primo acchito potrebbe sembrare assurda, ma che così non è, tant’è che nessuno dei confessori e testimoni della fede di ieri e di oggi l’ha mai messa in pratica. Gesù ci richiede di sacrificare anche le parti più importanti del nostro corpo, tagliando mani e piedi e persino cavando occhi, se essi possono costituire motivo di scandalo. Gesù come sempre ha a cuore la felicità e la salvezza dei piccoli, dei deboli e degli indifesi e per Lui è inaccettabile che chi è chiamato a custodire, difendere e aiutare questi fratelli possa al contrario offenderli e turbarli, provocando in loro danno e sofferenza. Gesù per stigmatizzare la gravità del gesto arriva a dire che “è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macchina di mulino e sia gettato nel mare”. Può esistere pena peggiore di questa? Scandalizzare significa innanzitutto offendere la coscienza e il sentimento morale degli altri con parole o azioni in contrasto con una norma etica o religiosa, comunque considerati riprovevoli, poiché motivo di cattivo esempio, indignazione e vergogna. Comprendiamo allora che con l’espressione “dare scandalo” non si vuole intendere solo l’atto della violenza e abuso sessuale, mai accettabile o giustificabile, ma anche mille forme di cattivo esempio e di contro testimonianza che invece di aiutare, sostenere e incoraggiare la fede dei fratelli, specialmente se piccoli, minori e indifesi, la danneggiano e distruggono.
Chiediamo oggi al Signore il dono di essere cristiani adulti nella fede, e per questo davvero credibili, in quanto capaci di testimoniare non a parole, ma con i fatti e con la vita la gioia di appartenere a Cristo e alla Chiesa.