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Giornata del Migrante: la riflessione di padre Bentoglio

Questo pensiero rimanda esplicitamente all’enciclica “Fratelli tutti”, dove il Santo Padre rivolge un appello a far sì che «alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (n. 35). In fondo, se ce n’era bisogno, abbiamo capito questa lezione affrontando la lotta per contenere e contrastare la pandemia, nei confronti della quale – scrive Papa Francesco nel Messaggio – «la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora maggiormente in un febbrile consumismo e in nuove forme di autoprotezione egoistica».

Il documento pontificio è elaborato in tre capitoli, che procedono dall’argomentazione biblica («La storia del “noi”»), attraverso la vocazione ecclesiale alla cattolicità («Una Chiesa sempre più cattolica») fino all’ampia prospettiva mondiale, che coinvolge «tutti gli uomini e le donne del mondo» («Un mondo sempre più inclusivo»). La conclusione è affidata alla preghiera, introdotta dalla raccomandazione, rivolta a tutti, di sognare lo stesso sogno di Dio: «Non dobbiamo aver paura di sognare e di farlo insieme come un’unica umanità, come compagni dello stesso viaggio, come figli e figlie di questa stessa terra che è la nostra Casa comune, tutti sorelle e fratelli».

Questo testo, a ben vedere, riprende le dinamiche espresse dalla dottrina sociale della Chiesa. Alla base vi è la carità. Benedetto XVI l’aveva ribadito nell’enciclica Caritas in veritate, spiegando che qui affonda la radice dell’umanesimo cristiano, poiché «la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane» (n. 3). Da questa prospettiva nascono due criteri, dettati in special modo dall’impegno per la solidarietà e la fratellanza universale in una società globalizzata: la giustizia e il bene comune. In primo luogo, allora, è sempre più urgente elaborare strategie di soccorso per chi vive in situazioni di disagio e di vulnerabilità, «coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali».

In secondo luogo, bisogna prevedere e programmare itinerari percorribili che facilitino la via del dialogo, con i temi del pluralismo etnico e culturale, della libertà religiosa e dello scambio interculturale. E questo per il fatto che – scrive Papa Francesco – «siamo tutti sulla stessa barca e siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più muri che ci separano».

Così, il Magistero pontificio guarda essenzialmente alla persona in quanto soggetto in relazione, aperto a Dio e al prossimo. Si tratta della persona con i suoi diritti e con i suoi doveri, che vanno rispettati anche in situazione di marginalità. E qui entra in gioco l’amore per gli altri. Se, infatti, il rapporto con indigenti e poveri viene interrotto, scompare il senso e il dovere della solidarietà.

Ecco perché il Santo Padre non perde occasione per incoraggiare la cooperazione tra i singoli e tra i popoli, che può servire da coscienza critica per l’impegno a realizzare un mondo diverso, dove tutti siamo chiamati a tutelare la dignità di ogni essere umano, come pure a promuovere il riconoscimento che siamo membri dell’unica famiglia umana, nei confronti della quale abbiamo tutti una responsabilità e, quindi, dobbiamo assumerci dei doveri. Soprattutto perché l’equa distribuzione dei beni della terra permetta anche ai poveri di godere di quanto possiedono i ricchi.

Da qui scaturiscono le urgenze e le sfide che sollecitano la Chiesa a individuare nuove vie per la sua missione di dialogo, di promozione e di evangelizzazione a dimensione universale. E di fatto, nuovi germogli stanno fiorendo. Tra questi va maturando oggi una nuova fioritura del volontariato dei laici, desideroso di offrire il suo servizio a favore della dignità e della centralità di ogni persona anche «tra gli abitanti delle periferie (dove) troveremo tanti migranti e rifugiati, sfollati e vittime di tratta».

Del resto, l’autentico sviluppo proviene dalla «condivisione dei beni e delle risorse», che «non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà» (Caritas in veritate n. 9).

Il rischio, infatti, è che «i nazionalismi chiusi e aggressivi e l’individualismo radicale» abbiano il sopravvento al punto da riuscire a «sgretolare o dividere il noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa».

Dunque, la Giornata mondiale di quest’anno, accompagnata dal Messaggio pontificio, sollecita il sovvertimento di questa logica, indirizzando gli sforzi di tutti perché «non ci siano più gli altri, ma solo un noi, grande come l’intera umanità». E la Chiesa deve stare in prima linea, pronta come un “ospedale da campo”, consapevole di essere “esperta in umanità”, chiamata a essere sempre più cattolica e decisa a non perdere l’appuntamento con la storia, che si sta scrivendo all’inizio del nuovo millennio.

«Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire – scrive il Papa – ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente. In effetti, dovunque si trovi, ogni battezzato è a pieno diritto membro della comunità ecclesiale locale, membro dell’unica Chiesa, abitante nell’unica casa, componente dell’unica famiglia». Ma questa cultura dell’accoglienza e del rispetto vicendevole non può limitarsi alla comunità dei credenti, va estesa all’umanità intera, dove ognuno ha una parte importante da giocare, senza dimenticare la tutela della casa comune, impiegando bene i doni «che il Signore ci ha affidato per conservare e rendere ancora più bella la sua creazione».

Padre Gabriele Bentoglio
Direttore del Centro Ascolto Diocesano “Scalabrini”