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Essere missionari. Uno stile che non passa mai di moda

Il termine “apostolo” proviene dal verbo greco “apostello”, che significa mandare, inviare. Da questa annotazione cogliamo la vera identità dei discepoli di Cristo, i quali non sono chiamati per formare un gruppetto di gente “perbene”, magari impegnata in qualche bella iniziativa di spiritualità e di preghiera, ma sono stati scelti e chiamati da Cristo solo ed esclusivamente per andare. La missione nella Chiesa allora non è un optional, e l’Euntes Ergo, ossia l’Andate dunque di Mt 28,19, non è solo uno dei tanti motti episcopali, ma indicazione indispensabile per chi sceglie liberamente di seguire il Signore. Come non rammentare le accorate parole di Paolo: “Guai a me se non evangelizzo” (1Cor 9,16), alle quali come cristiani del terzo millennio dovremmo aggiungere: guai a noi se non siamo disposti ad andare, ad uscire. Da qui la necessità di sottolineare che la tanta oggi decantata Chiesa in uscita non è semplicemente uno dei tanti lait motif di papa Francesco, o peggio, come dice qualcuno, una sua fissazione, ma è elemento primario e fondante dell’identità del cristiano.
Significativa poi quell’indicazione per i Dodici di ieri, ma attualissima per noi cristiani di oggi, ossia quell’essere mandati a due a due. Con questo Gesù ci vuole indubbiamente ricordare che nessuno da solo può sentirsi o essere Chiesa, ma soltanto se siamo insieme possiamo annunciare il Vangelo e trasmettere la fede. “Insieme”. Indubbiamente nessuna parola è oggi così usata e ripetuta, ma nello stesso tempo la più trascurata e ignorata, in ogni ambiente, non ultimo quello delle nostre comunità ecclesiali. Eppure Gesù ha detto a due a due non perché gli apostoli potessero farsi un po’ di compagnia per strada, ma perché solo così la missione può essere veramente gioiosa e feconda. Davvero non pregheremo e non ci impegneremo mai abbastanza per far sì che la comunione nella Chiesa non rimanga un bell’ideale di vita cristiana, un interessante tema di predicazione, un concetto astratto dell’ecclesiologia conciliare, ma diventi il nostro quotidiano stile di vita, l’essenza stessa della vita di ogni cristiano, specialmente se consacrato al Signore, e di tutta la Chiesa di Cristo.
La prima indicazione del Maestro ai missionari è di non prendere nulla con sè per il viaggio se non il bastone. Un consiglio inequivocabile per farci capire che il successo dell’annuncio non dipende dai nostri mezzi umani, neanche dalle nostre capacità personali, ma unicamente dalla forza e dall’amore di Dio. Ci viene concesso per miracolo un bastone. A che serve il bastone? Ricordiamo semplicemente che il bastone serve per sorreggerci, appoggiarci, sostenerci e soprattutto quando la strada si fa più faticosa e la stanchezza si fa sentire in modo più consistente, è strumento utile se non indispensabile. Ma cosa ci sorregge davvero nella vita? Cos’è questo bastone che il salmo 22 ricorda come l’utensile capace di dare sicurezza? Anche qui la risposta per chi crede dovrebbe essere spontanea: la fede, senza della quale non possiamo far nulla, l’unica capace davvero di sostenerci e incoraggiarci nell’arduo peregrinare della vita di ogni giorno.
Il brano di oggi si conclude con la possibilità, da considerare piuttosto certezza, del rifiuto e del disprezzo. E se non ci accoglieranno? E se non ci ascoltano? Che fare? La risposta è senza esitazione o tentennamenti: andatevene. Cambiate aria, facendo in modo di non dare neanche lontanamente senso di dipendenza, attaccamento e frustrazione, scuotendo dai piedi la polvere di mille negatività, che possono destabilizzarci e rendersi insicuri e infelici. Non è certamente un invito alla superbia e alla cinica freddezza nelle fatiche apostoliche, ma invito alla fortezza e alla prudenza, se vogliamo che il nostro spirito missionario non venga meno e che il nostro annuncio rimanga sempre fresco, gioioso e soprattutto fecondo.