Siamo al termine di una giornata tipo di Gesù, fatta di incontri, di veri e propri bagni di folla, tra mille richieste di aiuto e soccorso, malati di ogni specie che lo inseguono, lo stringono, lo assediano per un ennesimo miracolo, ma anche tanta gente che ad ogni costo vuole ascoltare la sua Parola, sentire il suo messaggio, che suona come luce nella notte, come acqua fresca nel deserto della vita, come fuoco vivo nel mondo gelido e freddo, come la migliore cura nelle ferite della quotidianità. Parole e segni: ecco il ministero incessante di Gesù, utile e prezioso per la salute del corpo e dello spirito. Siamo a sera, Gesù si congeda dalla folla, e chiede ai discepoli di passare all’altra riva nella speranza di trovare almeno là un po’ di riposo e di pace. Egli nel racconto evangelico appare stanco, prostrato, e Marco non esita ad annotare che «lo presero con sé così com’era nella barca». Il riferimento non è certo alle sue condizioni esteriori, ad esempio al suo modo di vestire, ma al suo stato d’animo, tant’è che, appena salito sulla barca, Gesù crolla in un sonno profondo. Poco dopo nel lago di Tiberiade avviene un fatto spaventoso, le acque si agitano: «una grande tempesta di vento, le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena» e quasi affondata.
Chi di noi non si sarebbe fatto prendere dalla paura, dal panico, se non addirittura da un legittimo senso di disperazione? «Il coraggio se non si ha, non lo si può mica inventare?», chiosava don Abbondio nella sua ormai nota espressione dei Promessi Sposi. Come aver coraggio in una situazione così catastrofica? E Gesù che fa? Dorme! Possibile? Ma come dormire, come riposare in una situazione così tragica! Sarà stato che quel giorno era più stanco e sfinito del solito, ma ciò non giustifica il suo “urtante” dormire beatamente, quasi facendo sogni felici su un comodo cuscino. Giustamente ai discepoli fa quasi quasi rabbia e non possono non scuoterlo, strattonarlo disperati: «Maestro non ti importa che periamo?». Quante volte anche noi, come gli apostoli impauriti e tramanti, ci siamo rivolti sconvolgiti e agitati al Signore, gridando a lui: ma che fai, dormi? Non vedi? Non ti accorgi?
Gesù non risponde nulla, oggi come ieri. Non si preoccupa di fare una bella predica di incoraggiamento e di consolazione. Non dice parole ma compie atti: seda la tempesta, calma il vento burrascoso, quieta le acque, provoca un’impressionante e insperata bonaccia. E, dopo aver compiuto il miracolo della famosa “tempesta sedata”, solo allora si rivolge ai discepoli ancora increduli, basiti e scioccati: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Nella domanda sembra esserci già la risposta. La paura è conseguenza della mancanza di fede. Più cresciamo nella fede, più scompaiono paura, dubbi e incertezze. In fondo lo abbiamo ricordato tante volte che avere fede è semplicemente fidarsi di Dio e affidarsi a Dio. «Fidarsi di Dio», nel senso che Lui sa di cosa abbiamo bisogno ancor prima che glielo chiediamo e certamente non ci farà mancare quanto serve per la nostra vita di ogni giorno. «Affidarci a Dio», come recita il salmo 131: «Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre».
Il brano si conclude con una domanda: «chi è costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Naturalmente il testo evangelico non dà nessuna risposta, poiché vuole che sia ognuno di noi a dare una risposta di fede sincera e audace nello stesso tempo. Allora anche noi «passiamo all’altra riva», alla riva della fede vera, alla fede di chi si fida e si affida a Dio con tutto il cuore, senza riserve ed esitazioni. Le difficoltà e le tempeste della vita non mancheranno, ma certamente se Gesù è sulla nostra barca la burrasca passerà, le acque si calmeranno e la traversata ci sembrerà molto più serena e tranquilla.