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Ricominciare dall’Avvento: «Gesù ci apre la strada»

Detto questo, il testo ci mostra un personaggio biblico importante per la storia della salvezza, fondamentale per il nostro itinerario di fede: Giovanni Battista. Qui viene presentato innanzitutto come il precursore. Pre-currere è il verbo latino che ci ricorda il precedere, l’andare avanti, l’aprire la strada. Che compito meraviglioso! Dove possiamo andare senza una guida? Dove possiamo giungere senza qualcuno che batta per primo la strada? Solo dirupi, burroni e baratri si aprono davanti a noi, ma non abbiamo paura, non ci scoraggiamo, non indietreggiamo mai, perché qualcuno ha aperto la strada, l’ha tracciata per noi, l’ha percorsa per nostra utilità e vantaggio. Giovanni è stato il primo a svolgere questo importante ruolo, questa possente missione, e ancora lo svolge per coloro che ne vogliono seguire le orme, per chi lo accoglie come esempio e modello da seguire. Ecco allora il compito, o meglio la missione di ogni cristiano, per questo Avvento e per tutta la nostra vita: preparare la strada del Signore, aprire la sua via, affinché possa più facilmente venire e incontrare i fratelli. Pensiamo a quanti oggi hanno bisogno di trovare o ritrovare il Signore! E noi cosa facciamo? Se non lo impediamo con le nostre cattive testimonianze e contraddizioni, certamente non ce ne preoccupiamo più di tanto! Eppure il Signore manda anche noi, come il primo precursore, nel deserto. Voce di uno che grida nel deserto. “Nel deserto? E a chi grido se nel deserto non c’è nessuno?”, si potrebbero chiedere i lettori inesperti. Comprendiamo allora che il deserto non è tanto un luogo geografico da raggiungere in qualche parte sperduta del mondo, ma è, come dicono i teologi, una situazione di vita, un atteggiamento di fondo, quello di chi vive l’aridità del cuore, il deserto dell’anima appunto, che certamente non permette di star bene, di vivere. L’Avvento potrebbe essere il tempo prezioso nel quale ci prepariamo così al Natale del Signore e alla sua venuta nella gloria (Parusia), preoccupandoci dei fratelli smarriti, lontani, che tanta sete di amore hanno nel cuore, nel deserto della vita moderna, con l’intento di portare loro un sorso d’acqua fresca. Si tratta quindi di comunicare il Vangelo che cambia il mondo, cambia anche le situazioni più disperate dell’esistenza umana trasformando il deserto del cuore nel giardino più bello e rigoglioso che esista, perché colmo della presenza di Dio, dissetato dalla sua Parola, sfamato dal suo vero cibo (Eucaristia).
L’atteggiamento di fondo non può allora essere quello degli “illuminati” o peggio degli “arrivati”, di quelli cioè che sanno tutto (onniscienti) o che fanno tutto (onnipotenti) e vivono serenamente beati, “sorseggiando il proprio caffè nelle sacrestie delle nostre parrocchie” (Papa Francesco), ma rivestendosi, cingendosi e nutrendosi di un unico indispensabile atteggiamento della vita cristiana: l’umiltà. A noi vuoti presuntuosi dell’effimero, Giovanni insegna a dire, almeno ogni tanto: “Non sono io”; a noi accecati di saccenza e perbenismo, invita ad affermare: “Viene dopo di me uno che era prima di me”; a noi tracotanti di superbia e di prepotenza, fa dichiarare: “Non sono degno di slegare i lacci dei suoi sandali”.
Questa è la nostra vera conversione, l’unica indispensabile, per essere veramente cristiani, per preparare bene la via del Signore, per accelerare i tempi della sua salvifica venuta nella nostra e altrui esistenza, per scorgere e far scorgere al mondo la perenne novità di Dio che ci assicura che “il deserto fiorirà”.