È ragionevole pensare che l’anelito alla pienezza sia suscitato da Dio stesso, pertanto sarebbe contraddittorio un Padre che prima spinge i figli a non accontentarsi di una vita mediocre e poi sembrerebbe esaltare il dolore. Tale dubbio può essere scardinato riflettendo sull’ideale di ‘pienezza’ che Gesù propone e sul valore che Egli dà alla sofferenza. In realtà i due aspetti sono collegati, perché una vita riuscita secondo il vangelo non esclude la sofferenza, ma la pone a servizio della felicità dell’uomo. Ecco il paradosso e insieme la novità cristiana: ciò che il mondo rifiuta, il discepolo accoglie, sicché chi nella società odierna, in quanto portatore di sofferenza, è solo un ‘pensiero’ di cui liberarsi al più presto, trova stabile dimora al centro dei pensieri di Dio.
Dunque la logica di Gesù consiste in un progetto che ha origine nella volontà del Padre, come risulta dal rimprovero fatto a Pietro, che vorrebbe sovvertirla («non pensi secondo Dio»), e che si sostanzia nel seguire il Maestro («se qualcuno vuole venire dietro a me»). Comprendiamo come, prima ancora della meta, è il cammino con Cristo che qualifica l’agire del credente; Egli mi può portare dove io non vorrei mai andare, ma se lo amo mi basterà essere con Lui. Troppe persone si fanno prendere dall’ansia di ciò che potrebbe accadere in futuro: parroci e religiosi che vivono male un trasferimento, laici che rimandano all’infinito il matrimonio perché la loro condizione economica non è del tutto soddisfacente. Chi ha fede sa che il futuro è nelle mani di Dio ma è anche consapevole che, obbedendo ogni giorno alla Parola, la meta della piena comunione con Lui è anticipata nell’oggi di una vita fedele al vangelo.
Il cammino dietro a Gesù si attua in tre passaggi: «rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Rinnegare se stessi significa essere disposti ad amputare un arto andato in cancrena, togliere quella parte di noi che non è sua, poiché ci condurrebbe dritti alla morte. È la lotta contro i desideri della carne, soprattutto la tendenza all’autoconservazione e autodeterminazione, che può portare ad allontanare Dio dal proprio orizzonte e sopprimere il fratello che ostacola la volontà di affermare se stessi. Tale lotta intestina non deve scoraggiare, in quanto essa realizza un cammino di liberazione interiore: che bello vedere gente dall’esistenza chiara e ordinata, che non è travolta dall’onda delle passioni e non si preoccupa di ciò che gli altri pensano e dicono di lei, ma solo di essere gradita a Dio!
Prendere la croce allude ad una scelta precisa, non comporta il subire passivamente un giogo che ti viene caricato addosso. È l’assunzione dei pesi della vita propria e altrui, sapendo che rimuoverli sarebbe sfuggire alla responsabilità di un’esistenza matura. Questa coincide col dono di sé, con la gioia del darsi; e donarsi quando è difficile, tra sudore e sangue, quando il dolore ti indurrebbe a non pensare agli altri ma a prendere voracemente tutto ciò che ancora la vita può offrirti, rende divino il più piccolo gesto d’amore!
Percorsi i passi del rinnegamento di sé e dell’assunzione della croce, la sequela di Cristo è già una realtà… e ti accorgi che, pur con i tuoi limiti e incoerenze, sei nella via di Dio, poni le tue orme sulle sue, e ti sembra di librarti in volo perché il cuore è nella pace, sa di essere nella verità.
Gesù sottolinea che è in gioco la salvezza e non si può ‘perdere’ la vita: per questo bisogna ‘lasciar perdere’ la tentazione di darsi vita da soli e accettare di riceverla dal Signore nelle forme e nei tempi che Egli dispone. Capiamo così il forte richiamo rivolo a Pietro, apostrofato «Satana» perché tentato di passare avanti al Maestro per tracciare un sentiero che non contempli la croce. Gesù lo invita a tornare dietro di Lui, riprendendo la posizione del discepolo. Stare dietro non è scelta da perdenti, è sentirsi custoditi e guidati da Chi non vuole mai sottrarsi al tuo sguardo perché tu non ti senta perduto e condurti alla meta di una vita piena.