Capita tuttavia che c’è una novità e neanche ce ne accorgiamo, perché le cose importanti si capiscono dopo un po’; gli apostoli infatti non hanno dato molto peso alla parola delle donne, prime testimoni della risurrezione, e sono prigionieri del loro terrore. Sì, è vero, sono ancora insieme, non si sono sparpagliati, ma le porte sono chiuse e la loro adunanza più che una convocazione ecclesiale sembra un assembramento come quelli vietati in questo periodo, senza peraltro neppure la gioia della condivisione. Nonostante ciò, Gesù sceglie questa Chiesa intimorita e si pone «in mezzo», quasi a ricordarci che al centro della vita non deve esserci il timore bensì la sua persona. Al limite, se ancora non abbiamo maturato il primato di Dio nella nostra esistenza, al centro per un po’ possono starci gli altri, in attesa di comprendere che la giusta relazione col fratello nasce dal riconoscimento del Padre, autore della vera fraternità; mai comunque al cuore della vita deve stare il mio io, altrimenti succede un disastro: tutto diventa funzionale al mio bisogno e asservirò persino gli altri alla sua soddisfazione. Il Risorto è il sole che irradia la luce della sua pace. Quando vado a trovare i vecchietti, l’augurio che rivolgono sempre a se stessi e a me è ‘pace e salute’. Potremmo dire che la pace è il segno della salute spirituale, di una vita salvata, e solo il Signore la può donare. Subito dopo «mostrò loro le mani e il fianco», perché l’amore sa soffrire e reca impressi i segni del dolore; cancellarli significherebbe privare il bene di ogni realismo, poiché una generosità che non implichi la rinuncia almeno ad una parte di sé non esiste in natura!
Il dono di Gesù non si ferma a questo. Egli affida ai discepoli la sua stessa missione; non importa se sono solo un piccolo gruppo, se non sono dottori della legge, se non sempre si sono dimostrati in grado di comprendere le sue parole, se lo hanno abbandonato nel momento più difficile; non importa neanche se adesso nel loro cuore si fa spazio il dubbio e il pensiero che sia tutto finito e che hanno sbagliato tutto. Gesù sta dentro tutto questo, si colloca in mezzo alle nostre paure, perché sa che il suo Spirito può rinnovare ogni cosa.
Il soffio dello Spirito richiama l’origine della creazione; ora viene donato nuovamente non per eliminare quello che siamo, ma per prendere ciò che siamo e rinnovarlo. Non fa nuove cose, ma rende nuove tutte le cose. Tutto è rivestito di una bellezza disarmante, perché mi parla di fedeltà. Dio non distrugge nulla, ma ama e continua ad amare ciò che siamo, anche quando il peccato ci snatura.
Lo Spirito Santo ridona vitalità. Qualche giorno fa ho dato da bere ad una pianta lasciata per molto tempo senza acqua; il suo movimento di vita è stato impercettibile, ma c’è stato, l’ho visto. Appena la terra arida ha ricevuto l’acqua, l’ha subito assorbita e la pianta ha sussultato per quella linfa vitale e si è progressivamente risollevata. È così che opera lo Spirito: ci viene donato e a noi tocca solo essere disponibili a riceverlo. E da questo dono saremo vivificati, risanati, trasformati, rigenerati. Non significa che i nostri limiti saranno cancellati, che le preoccupazioni spariranno, che la vita scorrerà tranquilla e senza problemi, ma che tutto ciò viviamo ci ricorderà che siamo figli di Dio, e che finalmente potremo vivere come tali, senza sentirci sempre sbagliati. Lo Spirito viene a rinnovare la nostra terra e a renderci canali per irrigare la vita degli altri.
Quale è, oltre alla figliolanza, l’altro grande mistero in cui lo Spirito ci immerge? Solo il Signore può perdonare i peccati, liberare dalle catene del male. Eppure Gesù ci dice che questo potere divino passa attraverso di noi. Qui non ci si riferisce soltanto al potere sacramentale dei ministri ordinati, ma all’attitudine di ciascun membro del corpo ecclesiale di riconciliare i fratelli con la comunità e col Padre mediante la preghiera, la testimonianza, l’offerta della vita. Siamo la Chiesa del Risorto, una Chiesa ricca di misericordia.