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Un’unica famiglia per costruire la pace

Luigi Alici, relatore al convegno pastorale diocesano

Professor Alici, già in passato, in diversi suoi scritti, ha affrontato il tema della corresponsabilità, accostando ad essa termini come compassione, competenza, cura e reciprocità. Cosa hanno in comune tali espressioni con la corresponsabilità?
L’elemento comune lo si può cogliere nella “postura relazionale”, tipica della responsabilità. La persona umana è responsabile in quanto per natura è abilitata a dare una risposta; una risposta non disimpegnata e occasionale, ma vincolante come una promessa.
Contro una cultura che privilegia le parole effimere e autocentrate della gratificazione emozionale o degli impegni stretti secondo la logica della convenienza, la responsabilità nasce dal riconoscimento di una reciprocità che è come la cornice comune, lo spazio condiviso della nostra vita. Compassione e competenza sono i due lati della relazione di cura, che è sempre una pratica di corresponsabilità, anche se asimmetrica: l’incontro autentico fra due persone è il frutto di un affidamento reciproco, che non nasce a tavolino come un contratto convenzionale tra uguali, ma da una storia comune, in cui quasi sempre c’è qualcuno che compie il primo passo. Come fra genitori e figli, come fra il Creatore e la creatura. In questo senso il bene che ci accomuna ci precede e ci oltrepassa: come un autentico munus, è dono e compito.

“Dov’è tuo fratello?”. A questa domanda, spesso, rischiamo di rispondere in maniera distratta, forse ignorando davvero dove sia il nostro prossimo, ricalcando la risposta che diede Caino. Qual è il limite alla ricerca del bene personale, all’affannosa corsa alla libertà?
Il bene che cerchiamo è veramente personale se è il bene di tutta la persona e di tutte le persone. Una differenza cruciale passa tra inclusione ed esclusione.
L’autenticità del bene dipende dal suo respiro universale: “noi tutti”, non “noi contro voi”. Solo parlando dell’unica famiglia umana possiamo riconoscere una fraternità planetaria e promuovere una vera pace.
In un tempo in cui la politica si mostra sempre meno protesa verso la difesa dei valori della vita, quanto è importante un impegno attivo dei cattolici? Qual è il contributo che essi possono apportare?

Si parla da tanti (troppi!) anni in Italia di impegno attivo dei cattolici, con risultanti deludenti.
Abbiamo oscillato per troppo tempo tra due estremi: da un lato i cristiani, in quanto cristiani, sono stati troppo vicini alla politica, fino al punto da essere facilmente strumentalizzati, fagocitati, corrotti; da un altro lato, per rimediare a questo eccesso, da cristiani siamo stati troppo lontani, fino al punto da assumere atteggiamenti sempre troppo “compatibili”, vaghi e inconcludenti.
Credo che oggi più che mai ci sia bisogno di un luogo di elaborazione che nasca dal basso: libero, alto e capace di vere sintesi; non a difesa solo di alcuni valori, ma in favore di una sintesi positiva e aperta.

A proposito di valori, di recente monsignor Morosini ha posto come valore non negoziabile il “bene comune”. È ancora possibile riconoscere in esso il principio di orientamento fondamentale dell’agire politico?
Credo proprio di sì. Nella scena pubblica dominano due surrogati del bene comune, che dobbiamo demistificare: da un lato il surrogato liberistico, che lo riduce a una somma di interessi individuali, da perseguire in uno spazio pubblico neutralizzato e agnostico; da un altro lato il surrogato ambientalistico dei “beni comuni” (come l’aria, l’acqua, le foreste…), che indicano un pacchetto di priorità certamente necessarie ma non sufficienti. Il bene comune, al singolare, indica molto di più: la qualità delle relazioni di buona reciprocità tra le persone, che è la condizione indispensabile per usufruire in modo non egoistico dei “beni comuni” e per proteggere lo spazio pubblico, promuovendo istituzioni al servizio di tutti. La politica è l’esercizio legittimo della forza (non della violenza!) solo in quanto si fonda sulla tutela e sulla promozione e del bene comune. Il principio di laicità non è agnostico: esige certamente imparzialità, ma non neutralità. La nostra costituzione disegna una cornice di imparzialità per la politica, non di neutralità: nella sua prima parte riconosce valori fondamentali e irrinunciabili per tutti.

Quale può essere il ruolo delle associazioni cattoliche nel dibattito socio–politico del Paese?
Prezioso e urgente, purché si “gareggi nello stimarsi a vicenda” e si pratichi un vero discernimento comunitario, finalizzato a una elaborazione culturale disinteressata, lungimirante e costruttiva. In un momento in cui il Paese vive una crisi gravissima di progettualità e di cooperazione, i gruppi ecclesiali devono cercare, sperimentare e testimoniare la profezia di una comunità alternativa: si può essere insieme in modo polifonico e costruttivo, dando voce agli ultimi in modo non paternalistico, coniugando giustizia e amore.

Consolato Minniti