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Amare i fratelli è dare gloria a Dio

trasfigurazione

L’esempio di Cristo rivela che l’oscurità che si addensa su tanta storia personale e comunitaria per il discepolo diventa l’occasione propizia per esprimere un amore più puro, come un frutto che quando viene spremuto dona tutto il succo. Ciò viene spiegato da Gesù mediante l’immagine della gloria, che etimologicamente contiene l’idea di pesantezza, e nell’Antico Testamento indica la presenza ‘consistente’ di Dio nella storia dell’umanità, manifestatasi in particolare quando Yhwh libera il popolo dalla schiavitù. Per cinque volte in questi versetti viene ripetuto il verbo ‘glorificare’, quasi a togliere ogni dubbio dal cuore di chi ascolta: la gloria che il Padre e il Figlio si rendono reciprocamente si rivelerà pienamente nel momento in cui, donando la vita, Cristo mostrerà quanto è grande l’amore di Dio per l’uomo.
Anche noi siamo coinvolti dentro questa dinamica d’amore, anche noi possiamo dare gloria a Dio partecipando al mistero pasquale mediante il Battesimo. Se è vero che i santi sono come le vetrate di una chiesa, che fanno entrare la luce in diverse tonalità di colore, anche io do gloria a Dio quando mi lascio attraversare da Lui. E in questo modo rendo presente Colui che sembra assente, ma col suo Spirito anima costantemente la Chiesa e il mondo. Gesù, adesso che sta per lasciare i suoi discepoli, vuole rassicurarli, li appella teneramente «figlioli» e annuncia che la sua partenza non lascerà un vuoto incolmabile: ‘se vi amate gli uni gli altri come io vi ho amati, in quell’amore io sarò presente!’. Può sembrare un passaggio logico improprio che la risposta all’amore di Cristo non sia direttamente l’amore per Lui ma l’amore tra i fratelli. Forse inaspettato per noi ma del tutto coerente con la logica dell’amore, come accade quando un genitore sta per allontanarsi qualche tempo da casa e non chiede nulla per sé, ma raccomanda ai figli di non litigare tra loro. Ireneo ci ha detto che «la gloria di Dio è l’uomo vivente», cioè l’uomo che ama gli altri viventi, e amando ciascuno di loro ama quel frammento di Cristo nascosto nel cuore di ognuno, come l’Eucaristia ci fa comprendere e vivere. Questo modo di amarsi è un «comandamento nuovo»: un comandamento, non perché si possa imporre, ma perché è l’accorato appello del Signore ai suoi fedeli; nuovo, perché scaturisce dal cuore stesso di Cristo, che a Pasqua crea una umanità rinnovata dal suo amore, e trova il suo compiacimento nel vedere che gli uomini si amano tra loro perché solo così si sente veramente amato.
Noi siamo abituati a chiamare amore qualcosa che è solo una sua pallida imitazione. Il nostro amore, infatti, difficilmente è disinteressato. Ce ne accorgiamo tutte le volte che abbiamo dato tanto e non abbiamo ricevuto nulla, perché d’un tratto ci sentiamo attraversare non dalla luce divina come le vetrate, ma da un senso di ingiustizia e sentiamo crescere una certa insofferenza, fino a provare tristezza e dolore. Siamo egoisti, dobbiamo ammetterlo, seguiamo la logica commerciale anche quando si tratta dell’amore. Eppure siamo perfettamente in grado di percepire che ciò che cerchiamo è proprio un amore oblativo. Chi di noi non vorrebbe essere amato in modo incondizionato? Chi non sarebbe felice di ricevere attenzioni, tenerezze senza motivo, gratuitamente e immeritatamente? E a chi non è capitato di meravigliarsi di fronte ad un gesto di comprensione e gentilezza di un perfetto sconosciuto? Quando incontriamo persone così davvero stiamo assaporando l’amore puro come la rugiada del mattino. ‘Da questo amore a senso unico vi riconosceranno, sapranno che siete miei discepoli e che Io sono in mezzo a voi, che amo con voi e in voi’. Non è tanto una semplice parafrasi delle parole del Maestro, ma è la conformazione a Lui, perché chi ama non vive più soltanto della propria vita, ma della vita della persona amata. Ecco il miracolo: l’amore ha reso l’amante simile all’amato!