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Morosini a Confindustria: «Lavoro, in Calabria serve una rivoluzione»

«Come vescovo, non posso non affrontare il problema dello sviluppo che dal punto di vista umanistico, cioè dalla promozione dell’uomo e di ciò che lo fa crescere in umanità. Abbiamo vero sviluppo nella società solo se tutto concorre ad una crescita di ciò che costituisce l’uomo in quanto tale. Nel magistero di papa Francesco c’è la presa di distanza da uno sviluppo che crea una cultura dello scarto e dell’emarginazione – spiega Morosini – Significa, allora, ripensare e riproporre la famosa distinzione tra sviluppo e progresso. Noi possiamo accettare come bene per l’uomo solo una evoluzione che significhi progresso di tutte le componenti dell’uomo, per cui una evoluzione che attenta a ciò che rende la persona tale, e che lede i suoi diritti può significare uno sviluppo scientifico ma non un progresso per la società. L’energia nucleare può essere considerato un progresso se salvaguarda l’uomo e le sue componenti valoriali, ma non la bomba atomica, che è contro una visione umanistica della realtà, e perciò non salvaguarda la dignità dell’uomo».
L’arcivesco reggino poi ha evidenziato nel suo intervento il «fallimento della società consumistica con tutti i disastri ecologici, dinnanzi al quale noi non possiamo non pensare che umanisticamente allo sviluppo, inteso allora come crescita dell’uomo in tutte le sue componenti. Sentiamo tutti l’urgenza, interpretata dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, di superare l’esasperazione consumistica dell’unica dimensione della quale si continua a tener conto per il benessere dell’uomo, quella economica, contro la cui assolutizzazione si era schierato negli anni 60 Marcuse con il libro: L’uomo ad una dimensione. Oggi noi stiamo costatando i disagi e disastri che tale assolutizzazione ha creato all’uomo e al suo ambiente. La cultura ecologica è nata dai disastri della cultura consumistica».
«La stessa concezione del lavoro non può avere davanti a sé solo la prospettiva del guadagno per vivere. Il lavoro – ha sottolineato Morosini – deve essere anche espressione delle capacità creative dell’uomo; dovrebbe essere, perciò, pianificato nella prospettiva anche della esplicitazione della personalità creativa della persona. Pensiamo all’umiliazione dell’uomo impegnato in una catena di produzione, dove il lavoratore è condannato a ripetere per otto ore lavorative ogni giorno un solo gesto. Un problema ancora aperto nella nostra società industrializzata, che non siamo stati ancora capaci di risolvere. Pensiamo. Invece, alla situazione più gratificante dell’artigiano che pensa e crea un prodotto e lo consegna finito sul mercato».
«L’altro aspetto dello sviluppo è l’agente chiamato a realizzarlo. Chi deve essere se non l’intero corpo sociale e politico, chiamato a intervenire secondo le proprie competenze e le proprie responsabilità, avendo come obiettivo il bene comune?», si interroga il presule. «A questo punto, ricordando che siamo calabresi, dobbiamo affrontare il problema del considerare solo lo Stato responsabile del mancato sviluppo della nostra Regione, senza considerare che tra lo Stato e la realizzazione dello sviluppo, c’è una serie di realtà intermedie, che hanno precise responsabilità operative. Se partiamo ad esempio dallo Stato che stabilisce una somma per un’opera qualsiasi e poi guardiamo l’opera compiuta o meno, nel giro di poco o di molto tempo, oppure l’opera rimasta incompiuta, o realizzata in tempi assurdi per la rapidità dell’evolversi della nostra storia, dobbiamo interrogarci a che punto degli anelli e delle realtà intermedie l’opera si è inceppata o arenata», questa l’analisi del pastore della Chiesa reggino-bovese. «Incapacità operative? Mancanza di volontà di agire? Paura di assumersi le proprie responsabilità? Chiusura egoistica che attenta al bene comune? È necessario un esame di coscienza veritiero per risolvere questo problema. Troppe opere sbagliate nel nostro sud, troppe opere incompiute, troppe realizzate in tempi impossibili, troppo denaro non utilizzato per incapacità progettuale o ritardi operativi» è il monito di Morosini.
«Lo sviluppo non può fare a meno di considerare anche il modo di concepire il lavoro. La cultura con la quale i nostri giovani e le loro famiglie affrontano la ricerca del primo impiego, riflette l’evoluzione dei tempi o è ancora ancorata a schemi del passato improponibili a tempo presente? In Calabria Abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale. È molto diffusa ancora la mentalità che il lavoro nobile e gratificante è solo quello che si può svolgere con giacca, cravatta e valigetta 24 ore. Gli spazi certi e naturali di sviluppo per la nostra regione sono quelli dell’agricoltura, del turismo. Ma sappiamo che non alletta i calabresi, che preferiscono emigrare all’estero. È necessaria – ha concluso monsignor Morosini – una rivoluzione culturale in tal senso, per quale tutti dobbiamo sentirci impegnati nel promuoverlo».