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Un figlio fuori dagli schemi

Secondo la tradizione, era tredici anni l’età in cui il ragazzo diventava “figlio del comandamento”, capace cioè di rispondere alle esigenze della volontà di Dio trasmesse dalla Legge mosaica, dando prova di conoscere le Scritture. Gesù anticipa i tempi, chiaro indizio della passione per il Padre che animerà tutta la sua vita e che lo induce a trattenersi nel tempio. Non è dunque con i suoi sulla via del ritorno ed è curioso che madre e padre non ne notino l’assenza, se non dopo una giornata di viaggio. Probabilmente tale indicazione temporale è orientata narrativamente alla maturazione dei tre giorni che dovranno trascorrere per il suo ritrovamento, in riferimento alla morte e risurrezione. Mentre Maria e Giuseppe pensano che sia nella comitiva, allo stesso modo delle donne che lo credono nel sepolcro, e similmente ad esse vivono l’angoscia dello smarrimento del corpo, Gesù invece persevera là dove gli altri solitamente fuggono: infatti spesso «la Pasqua è per gli uomini una fugace presentazione a Dio per ritirarsi indietro» (Silvano Fausti). Potremmo vedere rispecchiata in questa circostanza una dinamica familiare molto ricorrente. Quante volte i genitori non si accorgono di dove siano i figli, dove cioè sia il loro cuore, quali i sogni che stanno coltivando o le paure che li inquietano. La coppia di Nazareth credeva che fosse nella carovana, ma Gesù ne è uscito perché è fuori dagli schemi. «Una nuova generazione ha sempre qualcosa di nuovo da dire e a un dato momento Dio mi dirà di più di quello che mi hanno detto i miei genitori. D’altra parte, c’è sempre qualcosa di più in tuo figlio che non può entrare nel tuo schema. Questo ‘di più’ è il suo rapporto con Dio» (Fabio Rosini). Essi mancano ancora di una conoscenza completa del figlio, come del resto ogni altro genitore; da qui l’angoscia, la quale però non porta all’immobilismo ma si traduce in ricerca attiva. Alla fine essi torneranno al tempio, al luogo di Dio; «per trovarlo bisogna invertire il cammino, convertirsi al suo stesso cammino verso Gerusalemme» (Silvano Fausti). È lì seduto Gesù, maestro tra maestri, ma soprattutto attento ascoltatore di Dio, in dialogo con gli uomini sul mistero del Padre. È proprio nel colloquio col Padre che l’uomo Gesù scoprirà la sua vocazione, dando al Padre la possibilità di parlargli e di rivelargli la verità della sua vita. La crisi di fede oggi è soprattutto crisi di ascolto; ascoltiamo di tutto ma non ascoltiamo più Dio, col risultato che la nostra vita è una Babele di confusione e peccato. La domanda di Maria dà voce alla preoccupazione di ogni madre che cerca di ricondurre a sé il figlio, perché è istintivamente portata a pensare che riportandolo al suo grembo starà al sicuro come nel tempo della gravidanza. Essa è anche la domanda dell’uomo che cerca un Dio che sembra nascondersi, non è a portata di mano, sfugge ai nostri schemi. Tale ricerca spesso è condotta su strade errate, come le donne che cercano il Vivente tra i morti. Sono sempre le strade del non ascolto, o dell’ascolto ancora debole, poiché le donne e i discepoli dopo la morte non ricordano l’annuncio della risurrezione che Gesù stesso aveva dato lungo il cammino. Maria, perfetta discepola, maturerà proprio l’arte dell’ascolto, fino ad arrivare alla statura di donna totalmente inserita nella volontà di Dio. Ed è proprio l’essere nel Padre che il Figlio rivendica per sé come esigenza vitale, sottolineata da quel ‘bisogna’ che dice la piena saldatura tra le due volontà, il cui frutto è la somma comunione. Sì, la comunione con Dio non è solo slancio di sentimenti verso Lui, ma anche sforzo di adeguare la nostra volontà alla sua, con fatica e impegno. Ecco perché Gesù tornerà a Nazareth e lì rimarrà sottomesso alla volontà dei genitori: per insegnarci la docile sottomissione alla volontà di Dio. Dentro ogni famiglia c’è dunque un mistero di morte e risurrezione; viviamolo sapendo che, se lasciata a Dio, l’ultima parola è sempre una parola di vita.