È questa una delle tentazioni più temibili, che il Signore chiede subito di stanare, poiché Egli non vuole che ci comportiamo come delle fidanzate gelose che guardano le altre come una minaccia capace di togliere, da un momento all’altro, qualcosa che reputiamo solo nostro, ma di sentirci come delle spose feconde certe del legame indissolubile con lo sposo. È proprio tale legame che permette di gioire di tutto il bene che vediamo nascere al di fuori di noi, in quanto lo riconduciamo alla presenza sempre viva di Gesù in tutte le cose, di cui noi partecipiamo in forza della nostra unione con Lui. Tuttavia questo principio non è chiaro per i discepoli, che nello stesso capitolo 9 di Marco hanno già subito lo smacco di non riuscire a scacciare un indemoniato e di essere stati candidamente smascherati nella loro impotenza dinanzi alla folla. Non basterà l’ulteriore annuncio della Pasqua a farli entrare nella logica dell’umiltà ma, per tutta risposta, essi cominceranno a chiedersi chi è il più grande e a non tollerare rivali. Ecco perché Giovanni protesta presso il maestro per il fatto che «uno che scacciava demòni nel tuo nome» senza appartenere alla cerchia dei discepoli. L’apostolo però si tradisce, precisando che «non ci seguiva». Ma chi bisogna seguire, Gesù o i discepoli? La logica di Cristo è inclusiva, benedice tutti coloro che agiscono in buona fede nel suo nome. Il problema invece si pone per noi, che spesso circoscriviamo la potenza di Gesù a ciò che di Lui abbiamo ritenuto con l’esperienza e condiviso con un gruppo cui apparteniamo; il rischio è di pensare che ogni altra manifestazione dello Spirito non sia valida, solo perché non è quella da noi conosciuta. Non servono necessariamente statuti, progetti formativi o costituzioni con approvazione ecclesiastica per essere sicuri di seguire autenticamente il Signore; basta «un bicchiere d’acqua» dato per amore di Cristo per inserirsi nella corrente viva del vangelo, che ovunque passa genera vita e comunione. Cioè «basta vivere con amore i dettagli ed essere così gli eroi delle piccole cose» (Luigi Epicoco) per essere graditi a Dio e percepire di non avere sbagliato nella vita, pur senza aver compiuto atti eroici.
Si comprende in tal modo la successiva durezza di Gesù verso chi scandalizza «uno solo di questi piccoli che credono in me», verso chi ostacola il cammino di fede di chi, aderendo da poco a Cristo o portandosi dietro delle profonde ferite, è fragile ma ha fatto propria la logica del bicchiere d’acqua. Se chi pensa di essere più adulto nella fede e con la propria prepotenza, con parole o comportamenti inadeguati, fa cadere quell’unico bicchiere dalla mano di un “piccolo”, diventa oggetto della più grave condanna. Guai ad allontanare un fratello ancora debole dal desiderio di estinguere con quei pochi sorsi d’acqua a disposizione la sete che abita altri cuori umani, poiché ritiene vano l’apporto che può dare. L’immagine della macina al collo e dello sprofondare nel mare evoca una morte infamante perché rendeva impossibile la sepoltura: seppellire il bene in fondo al cuore dell’altro, significa seppellire anche la propria speranza di risorgere nella vita, perché ciò che io sono con gli altri, la vita sarà con me. Se mano, piede e occhio, ossia azioni, cammini e desideri non sono tutti contrassegnati dall’amore ma macchiati dall’ambiguità o dalla mediocrità, quindi non provenienti da Dio, dobbiamo essere decisi nell’estirparli. Certo, scardinare alcuni vizi o compromessi col male molto radicati può apparire impossibile, ma l’immagine della Geenna ci viene in soccorso: lì dove si sacrificavano i figli agli dèi e si bruciavano i rifiuti di Gerusalemme, dove cioè disumanità e scarto ristagnano, il fuoco dell’amore di Dio può purificarci e farci ricominciare nella vita.