Ciò che sorprende è che ad essere indecisi sono proprio i discepoli di Gesù, fra i quali possiamo immaginare qualcuno che l’ha seguito fin dalla prima ora, i quali lo ascoltano e reputano «dura» la sua parola sul pane di vita. Il messaggio di Cristo nel vangelo suscita solitamente o l’adesione o il rifiuto, cui si aggiunge nei tempi odierni l’indifferenza. Fa male al cuore pensare che la parola di Dio possa cadere nel vuoto e rimanere inascoltata quando incontra un cuore ‘duro’. Si tratta di due durezze diverse. Quella della Parola è la durezza della solidità e della unitarietà, perché «può essere accolta o rifiutata, ma non negoziata, modificata, resa più accettabile mediante la cancellazione di alcune sue esigenze» (Fernando Armellini); quella del cuore umano è la sclerosi dell’inerzia e della volubilità, perché essere centrati solo su se stessi impedisce la maturazione della personalità, rendendola soggetta a istanze molteplici e provvisorie. È dura per molti discepoli l’accettazione del mistero dell’incarnazione di un Dio che sceglie – Lui senza alcun dubbio, a differenza nostra! – tutto ciò che nell’immaginario collettivo era opposto al divino: umiltà, sconfitta, obbedienza. Gesù, sapendo che quando l’uomo non accetta una realtà la denigra con la mormorazione, vuole riportare i suoi interlocutori sulla via della verità; lo fa senza sconti, non sminuendo ma ancorando ancora una volta il suo messaggio alla trascendenza della gloria, dello Spirito e della vita stessa. Il riferimento alla visione del Figlio dell’uomo innalzato è un richiamo alla croce, che nel quarto vangelo è il momento della glorificazione, oltre che espressione massima della scelta d’amore di Cristo. Tale dono si può comprendere solo nello «Spirito che dà la vita», a partire dall’iniziativa del Padre, senza la quale noi non entreremmo nella pienezza di vita che il pane disceso dal cielo ci offre. Gesù sa bene che a questo discorso seguirà la dispersione di buona parte dei suoi seguaci e certamente ne soffre, ma non può rinunciare a dire tutta la verità. E noi? Quando la verità da annunciare diventa scomoda e abbiamo paura di continuare a difenderla, può succedere che di fronte alle tante contraddizioni di questo mondo, ai tanti scandali della chiesa vorremmo trovare delle soluzioni accomodanti: facciamoli sposare i sacerdoti se non riescono ad essere fedeli alla loro vocazione e finiscono per dare scandalo! Non ci accaniamo nel voler difendere la vita, condannando l’aborto o l’eutanasia, perché in fondo se uno non vive sulla propria pelle certe situazioni, come può dire a priori cosa è bene fare o cosa no? Lasciamo spazio all’ideologia gender se dobbiamo sentirci dire che Dio ci ha fatti liberi e noi non possiamo impedire a nessuno di definire la propria identità sessuale! Abbiamo finito col relativizzare tutto e quando qualcuno osa dire e difendere la verità succede quello che è successo a Gesù, l’essere abbandonati. Eppure, indomito, Gesù non modifica il suo stile «Volete andarvene anche voi?»; in Lui «c’è consapevolezza della crisi, ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà: siete liberi, andate o restate, ma scegliete; e seguite quello che sentite dentro!» (Ermes Ronchi).
La risposta di Pietro è coraggiosa anche se ancora non pienamente consapevole, perché egli dovrà attraversare la tentazione e cadrà, rinnegando il maestro. Eppure è ammirevole la sua audacia, perché confessa l’impossibilità di trovare fuori di Gesù la vita. «Da chi andremo?»: è lo smarrimento del cuore che, nonostante si renda conto che può prendere mille direzioni gratificanti, comprende che se una strada non porta a Cristo è come un camminare al buio per cercare un oggetto smarrito. Oggi tante funzioni sociali che prima erano esclusive della Chiesa sono svolte dalla società civile; tuttavia nessuno può offrire ciò che offre il vangelo, ossia la promessa di eternità, ragioni per vivere e dare senso in Cristo a tutto ciò che accade nella vita. Si tratta di perseverare nella scelta del discepolato, del proprio stato di vita, contando soprattutto sulla fedeltà di Dio, cui appoggiare la nostra.