Potrebbe sembrare un comportamento opportunistico, ma è anche vero che si tratta di un fare pienamente umano, perché nessuno può sentirsi così completo da affermare che ha in sé tutto ciò di cui necessita.
Se la gente vede «i segni che compiva sugli infermi», Gesù «alzati gli occhi, vide» non in maniera distaccata, ma come una mamma che ha uno sguardo preveniente: prima ancora che i figli esprimano un bisogno già lo conosce; quando esce si porta dietro sempre una borsa e, all’occorrenza, tira fuori proprio quello che serve e, nel preparare la valigia ai figli, senza dire nulla mette dentro anche qualcosa da mangiare, perché a un certo punto avranno fame, e lei questo lo sa.
Cristo è intento a parlare con i suoi discepoli ma capace contemporaneamente di guardare altro, posando lo sguardo sulla realtà intera che a Pasqua, come suggerisce l’annotazione temporale, chiede di essere liberata dalla schiavitù della contingenza. Noi invece il più delle volte ragioniamo al contrario, guardiamo l’altro cercando quello di cui noi abbiamo bisogno: un aiuto, una semplice presenza, qualcuno che ci faccia ridere. Quasi mai lo guardiamo per intuire quello di cui lui ha bisogno.
Gesù dunque, vedendo quella folla, si preoccupa della sua fame e chiede a Filippo dove possono «comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare».
L’esperienza di Filippo è la stessa che facciamo noi quando ci troviamo davanti a qualcosa che supera le nostre forze; come lui ci rendiamo conto di non avere quello che serve, di non essere abbastanza e, presi dallo scoraggiamento, ci paralizziamo. Filippo provvidenzialmente non era solo e aveva qualcuno che camminava con lui perché, lì dove noi vediamo un ostacolo, qualcuno che ci sta accanto può aiutarci a cambiare prospettiva. Andrea in fondo fa esattamente questo, cambia prospettiva, anche se ancora non è quella giusta. Invece di guardare a quello che non c’è, guarda a quello che c’è. La prospettiva di Andrea è diversa ma anche lui arriva alla medesima conclusione di Filippo: quello che c’è è troppo poco per qualcosa di così grande. Quante volte in tutto ciò che facciamo ci assale il tormento che tutto sia inutile, poiché avvertiamo la sproporzione tra quello che c’è da fare e quello che possiamo fare. Quante volte sentiamo dire: ‘Sì, ma che posso fare io? Quegli incontri preparati con cura ma vissuti con leggerezza da chi vi partecipa, come possono essere utili? Quell’ora a settimana di catechismo come può fare la differenza? Quei pochi minuti passati a fare compagnia a quella vecchietta come possono eliminare la sua solitudine? Quella parola di conforto timidamente balbettata, come può alleviare il dolore di chi lotta con la malattia?’. Proprio in questi momenti Gesù ci chiede di fidarci di lui.
Non siamo noi a dover fare miracoli, Cristo non ci chiede questo! Però ci chiede di non impedire a Lui di fare miracoli. Quel poco che abbiamo, infatti, se lo teniamo stretto nelle nostre mani, per timore che non sia sufficiente, diventa un vero ostacolo che impedisce alla sua grazia di agire; se invece lo consegniamo a Lui, diventa canale di grazia e il miracolo avviene! Il dono si compie attraverso «un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci»; si tratta del «pane nuovo, fatto con il primo cereale che matura. Un giovane uomo, nuovo anche nella sua generosità» (Ermes Ronchi).
Sono iniziati i tempi nuovi, in cui se cinque pani e due pesci sono insufficienti per una grande folla, in realtà sono tanti per una sola persona. Bisogna partire dal dono di Dio ricevuto nella propria storia di vita e saperlo condividere con semplicità e generosità; poi Dio penserà a moltiplicare quanto condiviso. Un’altra dimensione umana emergente è quella dell’attesa fiduciosa della cura di Dio, segnalata dal richiamo ai pascoli verdeggianti su cui il pastore del Salmo 23 nutre e fa riposare il gregge.
Infine è necessario raccogliere «i pezzi avanzati», quel sovrappiù che non va perduto perché ha la funzione di richiamare il desiderio del vero pane che non perisce e che è dato nella relazione con Cristo sperimentabile da ogni frammento di umanità sperduta, ma speriamo sempre capace di non sottrarsi alla forza attrattiva dell’amore.