Come è andato il confronto con parroci e laici durente gli incontri con le zone pastorali?
C’è stato un cammino faticoso, ma coraggioso. Si è passati dall’improvvisazione sugli incontri di verifica alla preparazione dettagliata di questi momenti che hanno dato dei frutti concreti: parlo delle relazioni di sintesi di quanto emerso dai diversi territori. Ancora, però, bisogna “spingere” per far considerare questi spazi come i luoghi privilegiati della sinodalità. La comunione ecclesiale è un valore che tanti invocano, ma che troppo spesso trova poca aderenza rispetto a un dibattito sano, schietto e sincero sulle problematiche che esistono e che vanno affrontate.
Per aumentare la partecipazione sarebbe opportuno creare dei consigli pastorali zonali?
È auspicabile che questo avvenga, ne parlo sin dal mio insediamento in diocesi. Penso che debbano essere organismi in più e non sostitutivi di quelli parrocchiali. Immagino a percorsi di condivisione con cadenza trimestrale e che possano davvero essere fortemente attrattivi per le risorse migliori dei laici impegnati in un certo territorio: attraverso questi strumenti, ne sono convinti, il “laboratorio pensante” della Chiesa di Reggio Calabria – Bova può diventare realtà.
A tal proposito, soffermiamoci sull’Osservatorio dei problemi del territorio. A che punto è questa proposta progettuale per le parrocchie?
Ogni nuova iniziativa pastorale porta a delle naturali diffidenze: «Non lo abbiamo mai fatto», si dice, «forse non siamo all’altezza». Sono tutti pensieri fisiologici; però se valutiamo comunitariamente l’esperienze di quelle parrocchie che ci hanno provato, allora questo può essere da stimolo per tutti. Si tratta di un ottimo strumento imprescendibile per radicare il Vangelo e non fare soltanto parole, ovviamente vanno rispettati i “ritmi diversi” delle singole comunità parrocchiali.
Proiettiamoci a settembre. Il Convegno pastorale diocesano avrà come tema l’accoglienza.
Vorrei ci fosse un immergersi maggiore nella realtà sociale in cui viviamo: possiamo dire che è necessario un maggior impegno politico rispetto al tema dell’accoglienza. Appare ormai necessario questo cammino, è chiaro che l’accoglienza ingloba l’aspetto profondamente umano delle relazioni. Faccio un esempio: quante volte leggiamo dai media che la Chiesa «non sa più accogliere» . Mi chiedo siamo capaci di trarre le conclusioni dagli atti che poniamo? Si può chiedere la cancellazione dai registri del battesimo e poi voler leggere le letture di una celebrazione eucaristica? Cosa vuol dire, quindi, «accogliere»?
Rispetto a questa presunta non-accoglienza. Quali strumenti adottare per contrastare questa falsa retorica?
I media, e in particolar modo quelli diocesani, devono entrare a far parte dell’annuncio sistematico dell’evangelizzazione. Ciò significa che è necessario rilanciare dei messaggi sulla Dottrina sociale della Chiesa: va fatta conoscere, soprattutto, alle giovani generazioni. E in questo senso non mancano i progetti in cantiere.
Sull’incisività “politica” dei laici. Quale è l’intendimento?
Bisogna risaldare i valori di riferimento e farli propri. Vale a più livelli: mi riferisco ai medici cattolici, ai giuristi cattolici e quant’altro. Nelle riunioni “di settore”, non si possono negoziare più i valori cattolici. E lo stesso vale per chi ricopre incarici politici: bisogna scegliere se seguire il Vangelo o gli ordini di partito.