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Lo scandalo di un Dio dal volto troppo umano

E Cristo è una fonte zampillante di novità nel modo di concepire il rapporto con Dio e tra gli uomini: presenta un Padre misericordioso e siede a mensa con i peccatori; interpreta autenticamente la Legge e antepone l’uomo ad essa; sceglie come sua nuova famiglia un gruppo di persone semplici e supera l’assolutizzazione dei legami di sangue; predilige ciò che è piccolo e rifiuta ogni forma di messianismo trionfalistico. La novità di Gesù, secondo gli interrogativi dei Nazaretani, verte sulle parole, sulla sapienza e sui miracoli che Egli esprime. Perché la loro meraviglia non si trasforma in fede? Eppure certe parole che ti toccano il cuore hanno la capacità di disarmarti; certa saggezza che ti illumina la strada desta il desiderio di incamminarti; certi segni che ti sono dati suscitano il bisogno di donarti. Perché maturi la fede è necessario un altro requisito, oltre alla capacità di stupirsi e di percepire una novità, ossia la disponibilità ad accettare che il volto di Dio sia diverso da come te lo aspettavi. E il volto di Dio che Gesù manifesta è umano, troppo umano. Egli era «il falegname», un mestiere con poca speranza di guadagno, per gente senza terra, che «consisteva nell’aggiustare o fare piccole cose o attrezzi altrui – cosa che in genere un contadino si faceva da sé nelle stagioni morte» (Silvano Fausti). L’epiteto «figlio di Maria» in questo contesto suona come dispregiativo; «non lo ricollegano con il padre che, in Israele, rappresenta il legame con la tradizione dalla quale egli si è staccato» (Fernando Armellini). E noi? Siamo in grado di vedere nelle mani callose di un falegname l’origine della nostra salvezza? Una persona mi raccontava di un amico che, dopo aver passato tutta la vita lavorativa ad avvitare bulloni in una fabbrica, manifestava un tic nervoso alle mani, con un evidente movimento di rotazione continua. Te lo aspetteresti un Dio dai tratti così umanamente imperfetti per gli standard culturali di ieri o di oggi, dominati da un perfezionismo rituale o estetico e dalla cultura dello scarto? Per molti Dio dovrebbe essere ‘altro’, cioè tutto il resto che l’uomo non riesce a darsi per raggiungere i suoi obiettivi, quella parte mancante sempre agognata e mai raggiunta in pieno. Una tale idea di Dio è pericolosa, perché si vorrebbe piegare l’Assoluto ad una semplice integrazione, seppur di tutto rispetto, delle prerogative umane. Ma abbiamo poc’anzi detto che Gesù è novità e se lo accetti come tale devi essere disposto a farti sconvolgere, portare dove non vorresti, rinunciare in un attimo a tutto ciò che hai costruito per una vita in nome di un possesso più grande. Possiamo apprendere infinite nozioni su Dio ma non averlo mai incontrato, perché siamo chiusi dentro i nostri schemi e fatichiamo ad aprirci alla sua creatività. Occorre dunque la fede per passare dalla conoscenza all’amore. Da dove può nascere la fede? Il testo si conclude con un atto d’amore indomito di Gesù nei confronti dei suoi compaesani. La sua risposta al rifiuto «non si esprime con una reazione dura, con recriminazioni o condanne; come non si esalta per i successi, così Gesù non si deprime mai per un fallimento» (Ermes Ronchi) ed Egli, pur non potendo compiere grandi prodigi a causa dell’incredulità, «impose le mani a pochi malati e li guarì». Gesù continua ad amare anche se sono pochi coloro che si lasciano amare veramente, anche se è uno solo. Per questo il suo amore è caparbio e dovrebbe convincerci sulla sua incrollabilità, aprendoci in tal modo alla fede. Da parte nostra, basterebbe ricordare non solo quello che Dio ha fatto nella storia altrui, ma specialmente nella nostra storia, mentre invece siamo più bravi ad accantonare e dimenticare i suoi doni. Dallo stupore e scandalo dei Nazaretani, si passa alla meraviglia di Gesù per il cuore chiuso dei suoi. Ancora una volta il figlio di Dio si mostra autenticamente umano per farci comprendere che l’uomo è la via per arrivare a Dio. Non rendiamo vana la sua visita nella nostra «patria».