Papa Francesco nel testo preparatorio al sinodo ci spiega bene questa condizione di partenza quando dice “Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti è l’ambito dell’esercizio del discernimento. Si tratta di un termine classico della tradizione della Chiesa, che si applica a una pluralità di situazioni. Vi è infatti un discernimento dei segni dei tempi, che punta a riconoscere la presenza e l’azione dello Spirito nella storia; un discernimento morale, che distingue ciò che è bene da ciò che è male; un discernimento spirituale, che si propone di riconoscere la tentazione per respingerla e procedere invece sulla via della pienezza di vita. Gli intrecci tra queste diverse accezioni sono evidenti e non si possono mai sciogliere completamente. Tenendo presente ciò, ci concentriamo qui sul discernimento vocazionale, cioè sul processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita. Se l’interrogativo su come non sprecare le opportunità di realizzazione di sé riguarda tutti gli uomini e le donne, per il credente la domanda si fa ancora più intensa e profonda. Come vivere la buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a tutti coloro a cui si fa incontro: attraverso il matrimonio, il ministero ordinato, la vita consacrata? E qual è il campo in cui si possono mettere a frutto i propri talenti: la vita professionale, il volontariato, il servizio agli ultimi, l’impegno in politica?”
Come vivere in modo da rendere visibile e incarnato il Vangelo che ascoltiamo?
In quale campo posso portare davvero frutto? In pratica qual è il mio posto nel mondo: dove sarò veramente me stesso e pienamente felice?
Questa è la domanda che ci abita sempre e da sempre e che ci mette in cammino, che ci porta ad uscire fuori da noi stessi per provare a metterci in discussione e poi rientrare nella parte più profonda di noi. Siamo tutti cercatori di un luogo che diventi casa, siamo tutti, sempre, alla ricerca della nostra identità, desideriamo conoscerci davvero, desideriamo dar voce a quelle parti di noi che non riescono a venire fuori, soffocate da mille paure o maschere che nel tempo ci costruiamo o che ci mettono addosso gli altri. Ma tante volte questo cammino, fatto di grandi strade e di strettoie, di vicoli ciechi e di pianure soleggiate rischia di diventare maledetto, perché ci perdiamo, perché non crediamo a quel raggio di sole che filtra tra gli alberi, ma vediamo solo quanto è fitta la foresta ed allora rimpiangiamo quel giorno in cui spinti dal desiderio di qualcosa di più grande ci siamo messi in cammino, lasciando quel porto sicuro e comodo che era la nostra vita. Tante volte rimpiangiamo la mediocrità comoda di una vita abitudinaria, senza slanci ne turbamenti, destinata a rimanere ferma, a non portare nessun frutto ma a bastare a se stessa. Siamo anche noi come gli israeliti che, secondo il racconto del libro dell’Esodo, giunti nel deserto dopo essere stati liberati dalla schiavitù del faraone, impauriti dalla presenza alle loro spalle dell’esercito nemico dissero a Mosè: «Mancavano forse tombe in Egitto, per portarci a morire nel deserto? Che cosa hai fatto, facendoci uscire dall’Egitto? Era appunto questo che ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare, ché serviamo gli Egiziani!” Poiché era meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto»
Quante volte per noi è meglio servire altri dei? Quante volte è meglio servire i potenti, le paure, il successo, i piaceri estemporanei, le abitudini? Quante volte tutto ciò che non ci rende liberi in realtà ci tiene legati ad una finta sicurezza, a quell’orticciolo in cui almeno ci muoviamo anche ad occhi chiusi?!?
Forse il punto è proprio questo, è necessario aprire gli occhi e rendersi conto che con noi c’è un’umanità in cammino, una moltitudine di uomini e donne che come noi stanno provando a guardare e seguire ogni giorno quella nube e quella colonna di fuoco che segnano e orientano il cammino. Ed ancor più è importante aprire gli occhi e riconoscere che ci sono uomini e donne posti sul nostro cammino per farsi accanto ed aiutarci a riconoscere i segni dei tempi anche quando a noi sembrano oscuri; è quello che fa Mosè nel deserto quando dice al suo popolo «Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il Signore compirà oggi per voi […] Il Signore combatterà per voi e voi ve ne starete tranquilli», ed è quello che fa ogni padre o madre spirituale, che ponendosi accanto ai passi incerti dell’uomo mostra la luce li dove sembra non esserci solo buoi e paura.
Pertanto, l’invito che oggi come 2000 anni fa il Signore viene a fare alle nostre vite è ancora una volta, “Alzati, apri gli occhi e mettiti in cammino!” quasi a voler liberamente reinterpretare il ben noto “VIENI E SEGUIMI” che ha Gesù stesso ha rivolto ai suoi per invitarli a camminare con Lui, e poi con altra gente, con ogni uomo e con tutti gli uomini per imparare a crescere, scegliere e vivere all’interno di una comunità che diventa casa, che fa Chiesa!
Mettiamoci in cammino! Coraggio!
Sr Elena Marta
Francescana Alcantarina, componente della Consulta di pastorale giovanile della diocesi di Reggio Calabria – Bova