Tuttavia dopo l’Ascensione si apre per i discepoli una strada inedita, in cui non godranno della presenza fisica del maestro e che per questo potrebbe apparire più impervia, quasi un ritorno a un passato remoto senza Cristo. Come non scoraggiarsi? Interviene qui la promessa del Paraclito, che Gesù manderà dal Padre e che renderà testimonianza al Figlio. Il Paraclito non è altro che la «presenza personale di Gesù nel cristiano mentre Gesù è con il Padre» (Raymond Brown), il suo stesso respiro, che implica un passaggio dall’esterno all’interno, da uno che ti sta di fronte a uno che ti muove da dentro e che potrebbe risultare un ospite scomodo se la tua vita è troppo ossessionata dalla carne e ha desideri contrari allo spirito. Si tratta di una presenza delicata, che si propone senza imporsi, il “chiamato accanto”, il difensore che in tribunale suggeriva all’imputato cosa dire, colui che parla all’orecchio rivelando la verità. Lo Spirito è associato alla verità e alla testimonianza di Cristo, come pure a quella dei discepoli, sicché le due testimonianze «stanno in rapporto l’una con l’altra in modo simile a come la testimonianza del Padre è in rapporto con la testimonianza del Figlio» (Raymond Brown). Il fatto che la testimonianza resa dallo Spirito avvenga per mezzo dei discepoli da una parte è dovuto alla loro permanenza con Gesù «fin dal principio», in una crescente relazione di fiducia e obbedienza; dall’altra chiama in causa la responsabilità dei credenti di incarnare nella vita l’insegnamento di Gesù, per cui in un ambiente Cristo sarà presente o assente anche a motivo della loro docilità all’azione dello Spirito.
il cammino dei testimoni è tuttavia lungo ed essi devono accettare di accedere progressivamente alla verità: solo dopo la risurrezione, con l’invio dello Spirito, comprenderanno ciò che è accaduto e il mistero della persona di Gesù, diventando capaci di «portarne il peso». Qui è implicata l’idea della persecuzione da parte del mondo, che il cristiano dovrà sopportare con il sostegno del Paraclito. E proprio aiutandolo a fronteggiare l’odio del mondo, di cui parla in diversi passi questo secondo discorso d’addio, lo Spirito ricalca sul discepolo l’immagine di Gesù, che nel momento della prova si imprime più profondamente nella carne e nel cuore del credente. Non dobbiamo dunque scoraggiarci quando siamo sottoposti ad oltraggi e privazioni a motivo della nostra fede, perché proprio in quel momento si sta compiendo in noi la conformazione a Cristo crocifisso e morto, senza la quale non apprezzeremmo la bellezza di una vita risorta che la grazia produce in noi. «Lo Spirito rende reale ciò che per noi è semplicemente un desiderio, perché riesce a colmare la distanza tra i nostri desideri e le paure che non ci lasciano mai vivere fino in fondo» (Luigi Epicoco). Il Consolatore è dunque anche un antidoto contro la paura che costituisce la principale nemica della fede, indebolisce la testimonianza ed è madre di tutti i peccati, i quali determinano non una sofferenza salutare come le persecuzioni, ma il rischio della dannazione. Gesù sottolinea che lo Spirito «dirà tutto ciò che avrà udito…prenderà del mio e ve l’annunzierà», non comunicherà una nuova rivelazione, perché la verità, che spesso divide noi umani, nel progetto divino unisce, è la via per la perfetta concordia. Non ci può essere infatti una relazione autentica se non si è disposti ad ascoltare o comunicare la verità, altrimenti tra me e l’altro esisterà sempre una forma di inganno, di ipocrisia. «Le cose future» che il Paraclito annuncerà non sono le predizioni del tempo che verrà, ma l’attualizzazione per le generazioni future di ciò che Gesù ha detto e fatto, affinché una perenne Pentecoste renda il vangelo sempre vivo e operante nel succedersi dei vari scenari storici. Una Chiesa non abitata dallo Spirito, incapace di accoglierlo sinceramente al suo interno, sarebbe la più grande tragedia. Vieni Santo Spirito, non tardare.