E la risurrezione di Cristo è la conferma che l’amore è vita! Certo, l’amore ti fa attraversare lo sgomento della perdita e la fatica di comprendere come ritrovare l’amato, lasciandoti per un po’ nel vortice del dubbio o della terribile percezione che il male attira altro male, poiché Maria, oltre a piangere la morte di Gesù, comincia a realizzare che a questa si è aggiunta la ferita del furto del cadavere. Tuttavia il suo amore, adesso persino oltraggiato, non soccombe al dolore e muove i piedi della donna, che corre dai discepoli a denunciare che l’amore è stato vilipeso. Cogliamo nell’accorato allarme dato dalla Maddalena anche l’intima e sincera comunione con la Chiesa nascente, rappresentata da quegli apostoli che, nonostante l’infedeltà al maestro, sono gli eredi e i custodi dei suoi insegnamenti. Ma cosa è rimasto del messaggio di Gesù nella coscienza di questi uomini scandalizzati da una morte atroce? Forse poco, ma è quanto basta per metterli in cammino, anzi in corsa verso quel luogo di morte. La pietra che chiudeva il sepolcro segnava comunque una distanza rispetto alla morte che, quando non cerca noi, anche se ci colpisce e attraversa, poi ci supera e rimane al di là di noi. Il masso è ribaltato e adesso la morte rientra prepotentemente in scena e interpella questi uomini ancor più smarriti. Come Maria, anch’essi corrono, ma sono mossi anche loro dall’amore? «L’altro discepolo» certamente sì, sia perché corre più velocemente (l’amore non conosce soste), sia perché sa fermarsi per lasciare spazio a chi è stato costituito capo da Gesù (l’amore sa essere umile). Il discepolo «vide le bende per terra» e, dopo aver fatto entrare Pietro, «vide e credette». Le bende che avvolgevano il corpo e poi il sudario che copriva il volto, segni inequivocabili di morte, ora risultano ambigui perché appare chiaro che dei ladri non si sarebbero preoccupati di liberare dai teli il corpo o piegare il fazzoletto. Nasce nel discepolo il presentimento che la salma non è stata portata via; egli intuisce qualcosa, non sa ancora chiamarla risurrezione, ma dentro di lui sorge una speranza che non sa raccontare, una fede che non sa ancora spiegarsi. In fondo per credere non occorre comprendere tutto, ma bisogna partire dallo sguardo e proiettarlo oltre se stessi. Il suo sguardo va oltre e approda alla soglia del mistero: «supera l’abisso dell’assenza, afferma, nel vuoto della tomba, che Cristo ha vinto ciò che appartiene al tempo, sa decifrare il linguaggio dei segni» (Jesús Manuel García).
Pietro, invece, corre ma non è il più veloce: la sua corsa, pur essendo orientata verso una meta precisa, risulta appesantita, in quanto egli è l’uomo «la cui fede è continuamente chiamata a compiere salti di qualità, a percorrere vie nuove; e per questo a volte fatica scontrandosi con la propria debolezza e la propria presunzione» (Jesús Manuel García).
In quale dei tre personaggi ci identifichiamo? Qual è la nostra reazione dinanzi al sepolcro vuoto? E se io mi rendessi conto di non avere verso Gesù lo slancio d’amore di Maria, né la fede faticosa ma indomita di Pietro, né lo sguardo contemplativo dell’altro discepolo? Se mi accorgessi che questa storia, da sempre a me nota, non ha generato più amore verso Gesù, lasciandomi come un semplice ammiratore e non innamorato di Cristo? Chiediamo al Signore di risorgere anzitutto nella volontà di amarlo, anche se per assurdo dovessimo concludere che non lo abbiamo mai veramente amato, che finora abbiamo amato solo noi stessi: questa sarebbe già la nostra risurrezione, che la Scrittura confermerà alla nostra coscienza, ancora troppo impressionata dalla paura della morte.