Cerca
Close this search box.

Per vedere Gesù, guarda il chicco di grano che muore e rinasce

La risposta di Gesù è l’occasione per affermare una delle più grandi verità per l’uomo: vede Dio chi accetta di morire per passare così a una vita nuova, come il chicco di grano che deve morire per produrre il frutto sperato. Una vita nella pace e capace di generare bene nasce dal distacco del cuore da ogni possesso per entrare nella logica del dono di sé. Solo «questa logica è liberante: libera dalla tirannia del proprio “io”, della riuscita a ogni costo, dell’affermazione di sé a scapito degli altri, del vedere sempre e solo se stessi» (Luciano Manicardi). Come è difficile, tuttavia, accettare la sofferenza! È qualcosa che non vorremmo mai provare, che ci blocca, ostacola, indebolisce la volontà e condiziona la libertà. Spesso, quando la sofferenza abita la nostra vita di fede, ci mette a disagio, ci scandalizza e in tutti i modi cerchiamo di schivarla o allontanarla. Ma non funziona così. Gesù è venuto non per eliminare il dolore ma per dargli un senso. Esso fa parte della nostra vita, tutti ne facciamo esperienza ma, paradossalmente, chi si decide per Dio va incontro alla sofferenza molto più di chi ne rimane lontano. Ciò accade perché «il principe di questo mondo» non vuole che gli uomini vivano in comunione con Dio e fa di tutto per suscitare nel cuore di chi ha scelto di seguirlo dubbi, pensieri e bisogni che creano turbamento e spingono a cercare delle gratificazioni immediate pur di non dover vivere questo travaglio interiore.
Mentre noi insisteremmo sul dolore, poiché l’uomo nella sofferenza spesso non riesce a vedere oltre, prigioniero delle proprie paure, Gesù pone l’accento sull’esito di questo processo, che «produce molto frutto» solo se la perdita è accettata incondizionatamente. Per superare il muro dell’angoscia che uccide la speranza è necessario rimanere con Gesù: anch’Egli ha provato l’angoscia mortale del Getsemani, che qui già scorgiamo, ma è sempre stato sostenuto dalla certezza della risurrezione. Rimanendo con Lui, riceveremo il suo stesso sguardo, saremo nel suo stesso sentire carico di speranza, perché «dove sono io, là sarà anche il mio servitore». Seguire Gesù perdendo la propria vita, ossia spendendola interamente per gli altri, ci rende servitori del suo regno. Dunque c’è da attraversare anche l’ora della sofferenza, ma attraversandola diventa l’ora della glorificazione. Il Padre dal cielo fa sentire la sua voce, come nella Trasfigurazione, per confermare che il Figlio immolato è il chicco di grano già trasformato in spiga rigogliosa. La folla non comprende la voce, perché soltanto con la luce della Pasqua si potrà riconoscere Gesù sulla croce come il vincitore di ogni morte. Lì il desiderio di tutte le genti di vedere il Signore sarà appagato, e non per gli sforzi umani, ma per la forza attrattiva e convincente della stessa croce.
Gesù ha descritto un itinerario «che va dalla morte alla vita, a differenza del nostro che va dalla vita alla morte» (Silvano Fausti). È questa la conversione radicale, l’accettare di andare oltre la nostra logica di conservazione delle posizioni sociali, economiche ma soprattutto affettive acquisite, perché forse la maggiore tentazione è attrarre a sé l’altro in quanto compensa il mio vuoto interiore, invece di lasciare che sia attratto dal progetto di Dio sulla sua vita. «Cosa conta: stare bene, passare di soddisfazione in soddisfazione, o imparare l’arte di abbandonarsi nelle mani del Padre e amare i fratelli?» (Fabio Rosini), liberandoli da ogni nostra pretesa di tenerli sotto controllo? E quando giungerà l’ora di entrare in questa logica, saremo preparati, accetteremo di morire come il chicco di grano? Pensare che ogni giorno siamo chiamati a rinnovare la nostra fedeltà al Padre, che ha scelto di sacrificare il Figlio per rimanere fedele all’uomo, ci prepara ad esprimere una fedeltà più grande nell’ora della prova, mortificando ciò che in noi è inferiore per aprirci ad una vita più alta.