La barca potrebbe essere il deserto in cui lo Spirito sospinge Gesù. È lì che si decide tra la vita e la morte, con la differenza che mentre la barca in un attimo da culla si può trasformare in tomba del sogno, il deserto è una condizione permanente (il numero quaranta richiama il tempo di una generazione, quella dell’esodo), perché in ogni istante, fino alla fine dell’esistenza, l’uomo deve scegliere tra il bene e il male. Il deserto è dunque il luogo del cammino faticoso, in cui la persona è costretta a mangiare la polvere della terra per ritrovare una via d’uscita verso il bene, oppure lo spazio in cui si vede il miraggio delle soluzioni facili ai problemi della vita, delle scorciatoie che poi portano fuori strada e ti ricacciano nel male.
Ora, chiunque voglia vivere da adulto, e non da eterno bambino, non può sottrarsi al dramma della scelta; tuttavia la buona notizia è che Gesù ha voluto sperimentare la prova, così come prima aveva voluto farsi solidale con i peccatori e mettersi in fila con loro per ricevere il battesimo. Marco non specifica il contenuto delle tre tentazioni come Matteo e Luca; sarà il seguito del vangelo a chiarire come Gesù dovrà decidere tra un messianismo che si avvale del potere mondano, politico o religioso che sia, o dell’apparente impotenza dell’amore. Sì, perché ancora oggi, dinanzi al costante rifiuto o indifferenza verso Dio, saresti portato a dire: “Signore, sei un perdente; pochi ti seguono!”. Perché non capisco che la tua onnipotenza coincide con la tua “onnidebolezza”? Forse perché non accetto fino in fondo la mia debolezza e quella della Chiesa, e vorrei anch’io un fede trionfalistica che convinca e incassi vittorie su vittorie. Gesù invece ha scelto di farsi interprete, voce e corpo di tutti coloro che vacillano, che stanno per mollare, che pensano che non valga la pena vivere da figli, visto che le cose non cambiano. Mentre nel deserto sentiva tutto il dolore e i dubbi dell’uomo di ogni tempo, Egli non ha distolto lo sguardo dal volto del Padre. Questa è la vera vittoria contro la più grande tentazione di credere che Dio non sia Padre e che bisogna costruire da sé il proprio benessere, dimenticando che tutto si riceve in dono da Lui. Che sollievo pensare che «anche Tu, come noi, sei circondato da male ma anche da bene, da fiere che continuamente cercano di dominarti, ma anche da angeli che sono lì per te, per ricordarti che il Padre mai si allontana da te» (Nicolina Cuzzocrea). Dunque nell’ora della prova Dio è costantemente dalla parte dell’uomo e ti chiede unicamente la pazienza dell’attesa del suo intervento, che spunterà come oasi nel deserto arido. Ma forse la notizia più esaltante è sapere che Gesù ha ammansito le “fiere”, tutti i pericoli e le paure che minacciano la vita dell’uomo, ristabilendo quella condizione di armonia originaria col creato e con i fratelli, che ritroveremo in pienezza alla fine dei tempi, ma che dobbiamo costruire ogni giorno. Sì, perché la fedeltà al Padre premia l’uomo che su di essa imposta la propria esistenza e riesce persino ad arginare il male fino a svuotarlo del suo potenziale mortifero. Che dono grande vedere persone prima arrabbiate con la vita e con i fratelli, poi trasformate perché si sono affidate all’amore!
È questa la conversione, frutto più prezioso del combattimento che avviene nel deserto del cuore umano, che si concretizza nell’attesa di «una promessa di più gioia, un sogno di più vita» (Ermes Ronchi). Solo chi non si sottrae a tale lotta diventa più sensibile alla voce di Cristo che annuncia il regno, distinguendola dalle altre voci ingannevoli. Il regno è allora per persone indomite nel cercare sempre nuove strade per far avanzare il bene, per far circolare l’amore, per isolare il male. Il regno è per gente capace di discernere che il tempo presente è quello «compiuto», quello in cui Dio ti è talmente vicino che è da stolti rimandare la scelta del suo amore e che «l’epoca bella non è quella passata, né quella futura: è qui e ora. Il momento decisivo è la decisione stessa» (Silvano Fausti).