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Il cristiano è voce che testimonia la Luce

Il quarto vangelo indica come testimoni di Cristo le Scritture, il Padre, le opere di Gesù stesso, lo Spirito Santo e i discepoli. Ora, la liturgia odierna presenta il testimone umano per eccellenza, Giovanni Battista, che definisce se stesso come la «voce» che risuona «per dare testimonianza alla luce». La luce vera è il Verbo incarnato, di cui parla il Prologo, dichiarandone nelle prime due strofe la preesistenza, il ruolo nella creazione e il suo essere vita e luce degli uomini. Nel Prologo «finora tutto veniva dall’alto. Ora ecco quest’uomo che procede dal basso, ma mandato da Dio» (Richard Gutzwiller), per irradiare l’altissima Luce che rischiara le tenebre delle bassezze umane. Ai versetti 6-8, come pure al 15, si enuncia l’identità del testimone; nei versetti 19-28 si specifica come Giovanni ha reso la sua testimonianza.
L’autore si preoccupa subito di precisare che il Battista «non era la luce», probabilmente per mettere a tacere le credenze che attribuivano a Giovanni il ruolo di Messia; tuttavia ciò non sminuisce il valore del testimone, che risplende nel momento della prova, quando è chiamato a rispondere alle autorità religiose del tempo. Infatti i farisei, che rifiuteranno fino alla fine la vera luce, inviano sacerdoti e leviti per sottoporre ad un interrogatorio il Battista, con un modo di procedere accusatorio che ritroveremo nel processo a Gesù. Le risposte di Giovanni sono tutte negative. Anzitutto dice di non essere il Cristo, sebbene non gli sia stata rivolta direttamente tale domanda, per smascherare il reale oggetto dell’indagine dei Giudei, l’identità del Messia, che continuerà riguardo a Gesù, e così spostare l’attenzione su colui che egli attende. Negando di essere Elia e il profeta, Giovanni si smarca ulteriormente da ogni pretesa messianica, poiché in quel tempo si credeva che la manifestazione del Messia dovesse essere preceduta dal ritorno di Elia o dalla venuta del profeta annunciato dal libro del Deuteronomio. Il Battista non pronuncia mai l’espressione «Io sono», che nel quarto vangelo diventa l’autorivelazione della divinità di Cristo, eco della prima rivelazione di Yhwh dinanzi a Mosè nel roveto ardente: «Io sono colui che sono». Giovanni dice: «Non sono»; poi dirà: «Io voce», non “Io sono voce”.
Giovanni è voce. La voce attraversa la vita di chi la ode, ma non si ferma lì perché deve risuonare altrove, dove incontra nuovi cuori disposti ad ascoltarla. La voce accetta di sopravvivere nella memoria di chi l’accoglie lo stretto necessario per suscitare una presenza altra. La voce accetta di essere “voce strozzata” dal mondo, accetta di morire come il Battista, come ogni profeta, perché è la Parola pronunciata fino all’ultimo fiato che deve sopravvivere.
Immaginiamo il senso di attesa che la voce del Battista provoca quando rivela, per purissima intuizione divina, che «in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». È proprio questo il ruolo del testimone, colui che «sveglia alla coscienza di Qualcuno che non conosciamo o non sappiamo riconoscere, ma che c’è» (Luciano Manicardi). E Giovanni annuncia che l’Atteso va desiderato e cercato come l’umanità-sposa anela al suo Sposo. L’immagine sponsale è evocata dall’affermazione del Battista di non essere «degno di slegare il legaccio del sandalo» di colui che annuncia, un riferimento alla cerimonia dello scalzamento, prevista nell’ambito della legge del levirato. Quando una donna rimaneva vedova senza figli, se il fratello del marito rinunciava a prenderla in moglie per garantirle una discendenza, chi nella scala giuridica occupava il posto successivo scioglieva il legaccio del sandalo del cognato che si era rifiutato e ci sputava sopra, per sottolineare che passava a lui la facoltà di mettere incinta la vedova. Giovanni sta così dicendo che non è suo il diritto di fecondare questa donna, non è lui lo sposo dell’umanità, definendosi più avanti l’amico dello Sposo.
La presenza dello Sposo è il vero motivo di una gioia intima e autentica, nella Domenica che invita il popolo di Dio a gioire per l’imminente venuta del Signore. È la gioia di una buona notizia, una presenza che sta in mezzo a noi, di cui non possiamo non dare voce, fino a diventare noi stessi la voce di Dio nel mondo, come il Battista.