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«Vegliare» per sognare ad occhi aperti l’Amore

avvento

Questa storia viene presentata da Marco al cap. 13 come un susseguirsi di catastrofi, persecuzioni e tribolazioni, a partire dalla profezia sulla distruzione del tempio (v. 2), che segna l’inizio del cosiddetto “discorso escatologico” di Gesù, un discorso sulle cose ultime. Le parole del Signore, coerentemente col genere letterario apocalittico, più che dirci le ultime cose che accadranno, ci svelano il senso ultimo degli eventi che avvengono nel corso della storia umana, segnata da una costante di dolore e peccato. Tuttavia Dio guida le vicende secondo un disegno di salvezza, impedendo che i mali che colpiscono i credenti spengano la speranza nella promessa di Dio; al contrario, essi diventano un’occasione per dare testimonianza di fede (v. 9), fino alla venuta del Figlio dell’uomo quale giudice della storia (v. 26), che comporterà la vittoria definitiva sul male. Il passaggio dalla tribolazione al ritorno nella gloria di Cristo anticipa l’altro passaggio ormai imminente, dalla morte alla risurrezione di Gesù, il cui racconto inizia proprio al cap. 14: «la narrazione della passione rappresenta per Marco il primo compimento del discorso escatologico» (S. Fausti). Poiché siamo certi del ritorno del Signore, pur non conoscendone il giorno e l’ora (v. 32), non possiamo mancare all’appuntamento con Lui! Chiarito il contesto che li precede, i vv. 33-37, proposti dalla liturgia odierna, costituiscono una esortazione alla vigilanza, che ricorre due volte secondo lo stesso movimento (vegliate – perché non sapete il momento del ritorno – non dormite), come se un’onda investisse ripetutamente il lettore assopito sulla spiaggia, ricordandogli che è pericoloso rimanere addormentati in riva al mare, anche se piacevole, perché non sai mai ciò che il mare può riservarti. Vegliare per Marco è anzitutto tenere vivo lo sguardo sulla realtà: «lungo tutto il vangelo Gesù invita a tenere gli occhi aperti per ascoltare la parola di Dio (cf. Mc 4,12), per discernere il lievito dei farisei che si insinua facilmente in noi (cf. Mc 8,15), per non credere a quelli che predicono il futuro come se lo conoscessero (cf. Mc 13,5.21-23)» (E. Bianchi). Lo sguardo vigilante deve essere rivolto anche alla propria «casa» (vv. 34-35), alla propria vita che è tempio dello Spirito e che in quanto tale va custodita, alla propria dimora interiore, poiché spesso Dio “viene” nell’intima risonanza che un evento esterno suscita in noi. Vegliare è soprattutto vivere la fedeltà operosa, «ciascuno il suo compito» (v. 34), ricevuto da Dio. L’evangelista per spiegare tale concetto intreccia due diverse parabole: quella dei servi a cui sono affidati i beni del padrone e quella del portiere che ne attende il ritorno. In particolare, il portiere ha la responsabilità di richiamare tutti i residenti della casa, per cui la vigilanza si comprende anche come un invito rivolto ai fratelli e non solo come un atteggiamento personale. I quattro tempi che al v. 35 sono indicati come possibili momenti del ritorno del padrone, alludono a quattro rispettive fasi della passione di Cristo: la «sera», quando uno dei dodici lo tradisce (14,17); «mezzanotte», quando Gesù viene interrogato dal sommo sacerdote (14,60-62); il «canto del gallo», quando Pietro lo rinnega (14,72); il «mattino», quando il sinedrio consegna Gesù a Pilato (15,1). «È come se il Signore venisse nell’ora in cui si consuma il peccato degli uomini» (J. Radermakers), affinché subito dopo, senza indugio, si abbia l’opportunità di incontrare la misericordia di Dio. La vigilanza è infine un atteggiamento che riguarda non un gruppo ristretto ma tutti indistintamente (v. 37) e tutti hanno la facoltà di immaginarsi il volto dell’Atteso. Vegliare è così un esercizio comunitario di speranza, è sognare ad occhi aperti l’Amore, invece di cadere nell’illusione del sogno. È attendere, ma già intravedere e gustare. Vegliare è orientare il presente dell’uomo al futuro di Dio. Così facendo, «questo tempo presente non è quindi una sala d’attesa, dove non c’è altro da fare che attendere passivamente e scrutare ansiosamente il tabellone degli orari e i binari ancora vuoti. Il tempo presente, con le sue difficoltà e le sue lotte, è già il treno che ci porta al Signore Gesù» (S. Fausti).