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Quale olio conservare per le lampade della vita

{module AddThis}È kronos che ci domina e non possiamo fermare, ma anche kairos che possiamo riempire. Ed è proprio qui che raggiungiamo il paradosso, l’unico modo per viverlo pienamente è quello di rapportarlo a noi come uno “spazio” che ci viene concesso, che non dobbiamo occupare ma percorrere, in questo modo ribaltiamo la situazione, mentre egli scorre e in qualche modo si svuota, noi possiamo riempire con la nostra presenza e le nostre scelte. A tale proposito ci dice qualcosa la parola di Dio quando ci ricorda che “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio” (Gal 4,3). La presenza del Figlio di Dio non solo cambia il tempo ma dà a noi una possibilità nuova di viverlo, dal momento della sua incarnazione ci viene data l’opportunità di riempire il tempo con lui. Questo tempo rimane tale, cioè opportunità, non solo durante la vita terrena del Figlio di Dio, ma anche nel periodo che va dall’Ascensione fino alla seconda venuta. È il nostro tempo, così amato e cosi temuto, ma forse non sempre vissuto con sapienza. Quella sapienza che vince la paura, che prende i discepoli nel momento in cui Gesù annuncia il suo ritorno, la paura che vuole eliminare l’opportunità dello spazio di tempo conoscendo con esattezza l’ultimo giorno.

E da qui che dobbiamo partire per capire la parabola delle dieci vergini che ci propone la XXXII domenica del Tempo Ordinario di questo anno liturgico. Dopo l’invettiva contro i farisei Gesù esce dal tempio e gli si avvicinano i suoi discepoli per invitarlo ad ammirare le costruzioni del tempio, ma Gesù risponde annunciando la sua distruzione. Non sta parlando della distruzione di un semplice edificio, che in qualche modo rappresenta l’uomo, la sua gloria e il suo potere, sta parlando di un luogo che in assoluto indica lo spazio d’incontro tra Di e l’uomo. Questo luogo fatto da mani di uomo non ci sarà più. Dopo questo annuncio nasce spontanea la domanda dei discepoli: “Di’ a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo” (Mt 24,3). Tenendo conto che nella domanda è sottinteso un legame tra la distruzione del tempio, la venuta di Gesù e la fine del mondo, i discepoli chiedono due cose: Quando? E, quale segno? Tutto il capitolo 24 è occupato dall’attenzione che Gesù richiede per comprendere il segno, e poiché quello che avverrà sarà necessario, bisogna evitare di cadere nell’inganno. Il primo segno sarà la distruzione, non solo di cose ma anche di relazioni, anche all’interno della comunità dei discepoli di Gesù. La tentazione dei fedeli sarà quella di raffreddare il loro amore a causa dell’iniquità. Tra gli sconvolgimenti della terra e quelli del cielo ci sono segni particolari: l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo e la presenza dell’abominio della devastazione nel luogo santo. Lo sconvolgimento delle potenze celesti sarà l’ultimo segno che precede la venuta del Figlio dell’uomo. Maestri per leggere questo tempo sono la natura (le foglie di fico annunciano il frutto) e la storia (l’esempio di Noè), ma che cosa significa concretamente vigilare? Certamente compiere la missione che Dio assegna ad ognuno di noi (Mt 24,45-51), ma anche e soprattutto preparare l’incontro con lo sposo che viene. In quest’ultimo caso il tempo per dato per prepararsi richiede saggezza.

L’incipit del racconto della similitudine è neutro, vengono, infatti, presentate le vergini che vanno incontro allo sposo. Ma subito l’indicazione del narratore ci fa capire che non è così, ci dice che cinque sono stolte e cinque sono sagge, non solo ci indica la differenza ma specifica lo scarto tra la saggezza e la stoltezza: “insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi”. Sembra banale, ma in realtà questo gesto ci chiede di guardare alla realtà delle cose: è la lampada che richiede, ne ha bisogno, l’olio altrimenti non può essere lampada. A cosa serve una lampada senza olio? Perde la sua funzione, non fa luce. C’è un tempo neutro, almeno in apparenza, è il tempo del ritardo dello sposo, questo viene impiegato dalle vergini per dormire. Essere figli della luce, ci ricorda l’apostolo Paolo, vuol dire non dormire come gli altri, ma vigilare ed essere temperanti (Cfr. 1Ts 5,6). L’annuncio dell’arrivo dello sposo riduce il tempo, il suo “spazio” è quello della preparazione immediata delle lampade. Solo in questo momento le vergini stolte si accorgono di non avere l’olio e sperimentano la durezza della realtà, in questa situazione esso non può essere donato: “poiché non venga a mancare a noi e a voi”. C’è un tempo stabilito che nessuno conosce, è il tempo in cui arriva lo sposo e si entra alle nozze. Poiché non si conosce bisogna tenersi pronti, per andare incontro allo sposo sono necessari sia la lampada che l’olio. Non è più tempo del ritardo e o della preparazione e il tempo dell’entrare. Questo è un tempo che si esaurisce, così come indica bene la porta chiusa. Quella porta a cui il Figlio ha bussato per cenare con noi (Ap 3,20), quella porta per cui è entrato il pastore delle pecore (Gv 10,2), quella porta che è diventato Gesù per farci entrare ed uscire e trovare pascolo (Gv 10,9), quella porta ora si chiude. La tristezza e la disperazione sono il risultato di due elementi, l’olio che viene a mancare al momento opportuno e la porta che si chiude. La luce della lampada e la porta aperta sono il frutto di una chiamata e di una risposta che si risolve nel riconoscimento dello sposo: “In verità vi dico: non vi conosco”. La conoscenza reciproca tra lo sposo e le vergini è cosi essenziale come l’olio è fondamentale per la lampada.