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Vendicarsi o perdonare? Il segreto è amare sempre

{module AddThis}In questo modo pensieri, parole e luoghi comuni hanno preso piede e volano di bocca in bocca, non è strano sentire ripetere anche ai cristiani: «La vendetta è un piatto che si consuma freddo». L’uomo biblico ha sperimentato la presenza nel suo cuore di questi sentimenti, ne comprende la malizia e ne cerca il rimedio. La presenza del rancore, dell’odio e dell’ira rendono l’uomo peccatore e gli impediscono di chiedere perdono al Signore. Per l’autore del libro del Siracide (27,30–28,7) il ricordo di ciò che il Signore ha fatto è l’unico modo per arginare questi sentimenti: «Ricordati della fine e smetti di odiare; ricordati della dissoluzione e della morte e resta fedele ai tuoi comandamenti. Ricordati dei comandamenti e non avere rancore verso il prossimo, ricordati dell’alleanza con l’altissimo e non preoccuparti dell’offesa ricevuta». In questo il concetto di perdono è presente ma in qualche modo è riduttivo, sembra che sia solo un’indicazione data da Dio che l’uomo deve eseguire per timore del giudizio finale. Non c’è nessun riferimento alla crescita dell’offeso e dell’offensore e soprattutto sembra che la comunità sia assente, che il perdono sia un affare a tre: io, tu e Dio. Tutta la vita di Gesù è un dono, la sua morte e risurrezione sono strettamente legate alla remissione dei peccati e alla salvezza, nel suo insegnamento ha più volte parlato del perdono. In modo particolare nel capitolo diciotto del vangelo secondo Matteo ci ha insegnato che c’è un legame profondo tra il perdono che noi chiediamo e otteniamo da Dio e quello che concediamo ai nostri fratelli. Dopo che Gesù ha evidenziato la necessità della correzione fraterna come strumento di salvezza dell’offeso e dell’offensore, Pietro cogliendo la palla al balzo chiede a Gesù: «Signore, quante volte, dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?». Nella domanda di Pietro, come potrebbe essere in quella di ciascuno di noi, c’è sottesa l’dea che il perdono sia una concessione che noi facciamo al fratello e che farlo più volte costa una grande fatica e una lunga pazienza. Gesù capovolge la situazione posta da Pietro nella domanda, pone il perdono all’interno di una relazione salvifica triangolare e gli dà un significato e una funzione molto più grande. Innanzitutto fa capire che il perdono non deve essere limitato nella sua quantità, ma infinito: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». La sua necessità è contingente alla fragilità dell’essere umano e alle sue imperfette relazioni. In un secondo momento, attraverso il racconto di una parabola il Signore lega in modo indissolubile il perdono divino con quello umano, e qui che registriamo un passaggio fondamentale, il passaggio dal “quanto” al “come”. Se, infatti all’inizio Pietro aveva chiesto «quante volte devo perdonare», alla fine della parabola, Gesù, per bocca del Re della parabola risponde: «Non dovevi forse anche tu avere pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». Attraverso questo passaggio fa capire a Pietro che l’esperienza del perdono non è un semplice atto di sopportazione umana legato all’esperienza contingente, ma la possibilità di entrare nell’eternità di Dio, attraverso la sua misericordia. L’atto di misericordia del Re non è solo un esempio da osservare ed imitare ma una possibilità che viene data al primo servo. Il Re, infatti, va al di là della pazienza che aveva richiesto il servo supplicando, poiché la sua pazienza si trasforma in misericordia e condona l’intero debito. Quest’azione inaspettata mette il servo nella situazione e nella condizione di non avere nessun debito e quindi nessuna urgenza di denaro. È chiaro che l’atto del Re crea una situazione nuova a livello orizzontale e comunitario, Gesù sta dicendo a Pietro e a noi che l’origine del perdono non va cercato nell’uomo e nella sua capacità di sforzarsi, ma è un dono che il Padre ci ha fatto inviando suo Figlio, e che il modo giusto per accoglierlo è quello di estenderlo ai fratelli. Il perdono è un dono che diventa strumento di redenzione nel suo viaggio di andata verso l’uomo e di ritorno verso Dio, apre all’uomo la possibilità della civiltà dell’amore e della redenzione finale. È vero, quindi, che il perdono ha un aspetto escatologico, ma è altrettanto vero che ha una dimensione comunitaria poiché il movimento di andata e ritorno tocca l’uomo e lo cambia nella sua vita quotidiana.