{module AddThis} Ecco allora la I Lettura, che ci ricorda l’autoproclamazione di Gesù come inviato dal Padre: Lo Spirito del Signore è su di me… per questo mi ha inviato a consolare gli afflitti, a proclamare la liberazione e a fasciare le piaghe dei cuori spezzati. Solo meditando sulla missione di Gesù, consolatore in mezzo al popolo, possiamo capire come Maria soccorra noi, che a lei ricorriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime. È necessario che il Vescovo riaffermi questa verità non solo a tutta la comunità cristiana, ma anche e soprattutto, a quanti, ormai non più praticanti o addirittura non più credenti, si fermano alla semplice tradizione. Non possiamo smarrire le radici di fede di questa festa, che non è cultura e tradizione, anche se appartiene ad entrambe.
La ‘festa di Madonna’ per il Vescovo di Reggio è anche l’occasione per condividere con tutta la comunità credente e con tutta la società, con quanti anche non si ritrovano più nell’alveo della fede, la sua lettura dello ‘status’ della nostra città, dei problemi che l’agitano, delle delusioni che l’attraversano, delle gioie che l’incoraggiano, delle speranze verso cui cammina, per cercare di capire se la consolazione che chiediamo a Maria sia collegata a quella che ci propone Gesù.
La città cammina tra gioie e speranze, da una parte tra i problemi atavici derivanti dalla ‘ndrangheta e dalla corruzione morale, economica e politica, e dall’altra tra gli sforzi di superamento che soprattutto da tanta gente onesta e dai giovani soprattutto vengono fatti. Non possiamo chiudere gli occhi sul volontariato, che avrebbe bisogno di maggiore considerazione politica perché i giovani soprattutto non possono essere eternamente tali, ma hanno bisogno di trovare sbocco esistenziale in questo settore dell’assistenza con maggiori incentivi dello Stato.
Richiamo ancora una volta il rapporto tra questa festa e la testimonianza della fede nella vita: non possiamo dire di onorare la Madonna e rimanere indifferenti dinanzi al progressivo depauperamento dei valori evangelici che hanno sorretto, finora, la nostra vita individuale, familiare e collettiva, come se la Madonna fosse staccata dal Vangelo o addirittura come se esso non esistesse più. Ribadisco ciò con forza, senza cedere minimamente alla pressione mediatica o, peggio, populista, che vorrebbe che la Chiesa adeguasse il messaggio di Gesù a quella pericolosa deriva culturale che si sta sviluppando nella nostra società, ostentando il principio che non possiamo imporre i valori cristiani a chi non crede.
Ma in nome di questo principio stiamo accettando pacificamente che siano altre culture o gli anti-valori ad egemonizzare l’organizzazione della società. Certamente i valori non vanno imposti, ma scelti, ma è anche vero che alla radice di un’etica di comportamento esiste un giudizio sui valori, che l’uomo deve emettere con la sua ragione, ancor prima che con la fede, a partire dalla dignità della persona umana e dalla supremazia del bene comune. Sarebbe vanificata altrimenti la sua spiritualità. Noi stiamo precipitando nel dominio di una cultura radicale, che sta invadendo anche le scuole; mi riferisco alla pseudo cultura gender che papa Francesco ha definito come una imposizione ideologica di stampo nazista. Non è questa un’imposizione dall’alto che anche i politici cristiani stanno accettando in nome di un falso concetto di rispetto delle minoranze e del pensiero altrui?
E intanto, come se nulla fosse, le nostre città continuano a celebrare le feste della Madonna e dei nostri Santi, a consacrarsi ad essi come se essi non avessero nulla da dirci sulla deriva culturale nella quale stiamo cadendo. È l’eterno dramma della separazione tra fede e vita, che non deve preoccuparci solo in riferimento alla ‘ndrangheta, ma che informa di se tanti altri aspetti della vita. Come si può dichiarare la Madonna patrona di una città, se i valori evangelici che Ella richiama sono disattesi e non sono più di orientamento per l’organizzazione della società stessa? I cristiani sono chiamati a reagire perché, se è vero che la fede non può essere mai un’imposizione, ma solo una proposta, essa è anche chiave interpretativa della vita e chiede che con coraggio e senza ipocrisie si imposti la vita personale ed associativa su principi e valori non negoziabili, perché posti a tutela della dignità dell’uomo e della vita!
La Chiesa spesso è sollecitata a prendere atto dei cambiamenti attorno ai temi caldi della famiglia, dell’inizio e della fine della vita umana, della sessualità, del concetto di libertà e di natura, e ad accettarli. Si dice che sono irreversibili, per cui, se la Chiesa non si adegua, perderà i suoi fedeli. Ci viene chiesto praticamente di abdicare al Vangelo e ai valori da esso scaturiti. Ma Gesù, nel darci la sua liberazione e la sua consolazione, non si è mai piegato nè a profezie di sventura, nè a minacce, e neanche al comune sentire degli uomini del suo tempo: egli ha avuto il coraggio di andare contro corrente e di chiedere agli apostoli di fare altrettanto, nonostante il rischio di essere trascinati dinanzi ai tribunali.
La sfida della secolarizzazione e della scristianizzazione, miei cari, la vinceremo se manterremo salda la dottrina del Vangelo e se avremo il coraggio dei martiri, i quali, per la fedeltà al Vangelo, hanno dato la vita. Altro che adattamento alla mentalità corrente! Altro che paura di perdere consensi! Non avremmo avuto, oggi, la laicizzazione della politica e la rivendicazione della supremazia della coscienza, se i primi cristiani si fossero adeguati alla massa, che, per paura delle ritorsioni, bruciava incenso dinanzi alla statua dell’imperatore. La teocrazia non è vangelo, per cui il cristiano deve rispettare la laicità dello Stato; ma una cosa è il rispetto e la promozione della laicità, altro è la deriva secolarista della società, che ci illude e si illude di costruire il bene dell’uomo e difendere la sua dignità e la stabilità del suo vivere sociale, politico ed economico, tentando di estromettere Dio. Basta riflettere sulle notizie che giungono da tutto il mondo, per verificare se il tentativo di alienazione da Dio e dalla sua legge abbia davvero prodotto una società migliore rispetto al passato, più umana e più libera.
Ma quale tipo di consolazione ci prospetta la parola di Dio? S. Paolo ci ha proposto una consolazione che ha le sue radici nell’incarnazione del Figlio di Dio: è la consolazione che si dona nel segno della condivisione, cioè del portare assieme i problemi dell’altro, standogli vicino, cercando il suo bene oggettivo nel contesto del bene comune: la vostra consolazione si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo.
Allora alla nostra Reggio, diventata città metropolitana, quale consolazione possiamo offrire? È una domanda che, sfrondata da ogni involucro religioso, tocca le coscienze anche dei non credenti e può produrre cambiamenti seri nel tessuto ecclesiale, politico, sociale, economico, educativo della nostra società, che fatica per uscire da un diffuso disorientamento politico, che lascia attoniti e rischia di allontanare i cittadini dalle istituzioni.
Tutti desideriamo, anche chi è impegnato nella cosa pubblica, che ringrazio per il servizio che ci rendono, una politica che sia impegno reale per il bene comune, non sottomessa agli interessi di gruppi costituiti (siano essi di maggioranza o di minoranza) e alle loro logiche di parte. Da giovane, quando ho cominciato ad interessarmi della vita politica italiana, costatavo che all’alternanza dei gruppi politici al potere (destra, sinistra, centro) si accompagnava inesorabilmente da un lato l’atto di accusa contro l’incapacità del gruppo politico precedente, che avrebbe sbagliato tutto, e dall’altro l’annuncio di una promessa messianica di un futuro nuovo, ahimé smentito inesorabilmente dalle accuse di incapacità da parte di nuovo gruppo che si insediava al potere. Sono alle soglie della vecchiaia e nulla è cambiato. Non può scaturire per la città alcuna consolazione da un simile “circolo vizioso”, generato da una politica autocentrata sul gruppo o partito e demolitrice del bene comune.
Non voglio atteggiarmi a maestro di una realtà che non è di competenza di un Vescovo, ma ripeto l’appello rivolto con una lettera alla città, all’inizio del mio servizio a Reggio: superiamo la logica dei gruppi che si contrappongono, condizionati sempre dalla prospettiva dell’appello elettorale, ed affidiamo l’amministrazione di progetti e risorse a persone competenti, al di fuori di ogni logica di partito. Essi, sulla base delle loro competenze tecniche, dovranno guardare solo al bene comune. La proposta potrà apparire un’utopia, ma credo che essa potrebbe essere la ricetta giusta per non sprecare l’occasione che ci offre la città metropolitana con il denaro che verrà messo a disposizione per il nostro rilancio. Se esso non verrà utilizzato nell’ottica primaria del bene comune, ma con la logica della spartizione politica, per la nostra città sarebbe una catastrofe senza appello. Bravura e coraggio di pochi non servono, se la burocrazia e la logica della spartizione diventano filtri potenti per impiegare i beni destinati al nostro sviluppo. Questa è la più grande consolazione che, con l’aiuto della nostra Protettrice, potremo offrire alla nostra città.
Un altro fronte ad aver bisogno urgente di consolazione nell’ottica della condivisione, è l’accoglienza degli immigrati, soprattutto se minori non accompagnati. A livello nazionale finalmente questo tema è ad una svolta seria nella linea scelta già dalla nostra Diocesi, collocata da tempo sulla ferma promozione di un’accoglienza non limitata all’abbraccio del primo arrivo, ma orientata ad un percorso di reale difesa e custodia del minore ed ad un accompagnamento sino alla maggiore età per immetterlo poi nel mondo del lavoro, dignitosamente autosufficiente. Possiamo dire che finora nelle nostre strutture stiamo tenendo fede all’accompagnamento e alla formazione per l’integrazione. Ma guardiamo con timore al futuro, quando questi ragazzi, diventati adulti, dovranno essere consegnati alla società, all’interno della quale muoversi pienamente integrati anche con il lavoro. Si realizzerà tutto questo? Le difficoltà che gli stessi ragazzi calabresi, diventati adulti, oggi attraversano per inserirsi nella società e nel mondo del lavoro, non ci fanno sperare molto. C’è il timore legittimo che i minori, oggi accolti in strutture, ormai maggiorenni possano costituire una sorta di bomba sociale dagli effetti travolgenti. Non si può ignorare che responsabili degli ultimi attentati in Europa siano stati giovani immigrati di seconda e terza generazione. L’integrazione è una sfida che non si può affrontare a cuore leggero.
Un altro grave aspetto della consolazione/condivisione per la nostra città è quello dei giovani e prima ancora degli adolescenti, colpiti in maniera tragica dal malessere del vivere e dalla solitudine, affogata nella chiusura solipsistica dei social network, dell’alcol e della droga. L’allarme di Benedetto XVI è ancora valido; noi adulti abbiamo rinunciato al ruolo educativo, assecondando adolescenti e giovani nei loro desideri e istinti: chi può proibirmi di fare qualcosa che mi piace se posso farla? Scatta così la molla della violenza e della sopraffazione, se tali desideri incontrollati essi non riescono ad appagarli. Per darsi ragione di ciò basta riflettere sui delitti a sfondo passionale e sessuale, con i quali ormai conviviamo.
Se vogliamo veramente consolare i nostri giovani e renderli felici dobbiamo considerare tanti fattori da tenere assieme nel processo educativo. E il primo è la nostra capacità di stare accanto a loro, interessarsi di loro e saperli ascoltare senza giudicarli subito ma condurli per la strada della persuasione. È urgente oggi che le agenzie educative tornino a preoccuparsi dell’animo dei ragazzi e dei giovani e non soltanto di fornire loro ‘beni materiali’, che, spesso, sono avvelenati da un consumismo senz’anima, che tarpa lo spirito. Spero di non essere frainteso: temo che stiamo insistendo in modo univoco sulla formazione alla legalità dei nostri ragazzi e giovani. Essa non va sminuita ma ricordiamo quanto sia altrettanto urgente la formazione all’affettività, alla coscienza retta, alla ricerca dei valori e di un equilibrio di ragione che deve dominare l’istinto; alla consapevolezza che la vita è una conquista, da realizzare senza aspettarsi la pianificazione da parte di altri, fossero anche i genitori.
La parrocchia e la famiglia rivedano la loro azione educativa, ricordando per esempio che l’educazione all’affettività non può essere affidata alla strada, agli amici più grandi, o ai social-network . Bisogna contrappore ai media, che presentano la sessualità come divertimento la visione cristiana del dono d’amore, che richiede, sempre, il rispetto del partner: serve chiarezza e coraggio in questo delicatissimo settore dell’educazione, altrimenti continueremo a piangere sugli efferati delitti da tutti deprecati, ma, dei quali, non vogliamo individuare nel vuoto educativo la vera causa. È necessario, inoltre, che si spieghi ad adolescenti e giovani che l’uso delle droghe anche leggere e l’abuso di alcol deformano la personalità e rappresentano un rischio per la propria e altrui incolumità. Altrimenti continueremo a piangere su tante assurde morti, consumate, sulle nostre strade, per altrettante notti di follia.
A voi sacerdoti, educatori e catechisti, chiedo di impegnarvi non in una fredda e asettica trasmissione di formule dottrinali, finalizzate alla ricezione dei sacramenti, ma in incisivi percorsi di formazione di coscienze mature, che sappiano affrontare la vita. Chinatevi con amore sui ragazzi e giovani a voi affidati; siate capaci di meritare la loro fiducia; aiutateli ad aprirsi e a confidare a voi le loro insicurezze e le loro sofferenze. Trasformate le aule di catechismo e le sedi delle vostre associazioni in laboratori di vita.
Nelle tue mani, dolce Vergine consolatrice deponiamo ogni nostro proposito, progetto e timore. A te affidiamo il presente ed il futuro della nostra città e della nostra chiesa. Tu che sei Madre tenerissima e provvidente, rivolgi ancora su di noi gli occhi tuoi misericordiosi e mostrarci il tuo Figlio Gesù, autore unico della consolazione dell’uomo.