Il processo di rivelazione presentato dalla Bibbia tiene conto della capacità e della libertà dell’uomo e per questo motivo possiamo dire che segue una via “indiretta”, nel senso che non si impone ma si propone, cioè mette l’altro nella condizione coglierlo secondo la sua unicità. In questo modo il rivelarsi è mostrare nascondendosi, in modo tale che la manifestazione diventa essa stessa spazio d’incontro tra due libertà, quella del donarsi e quella dell’accogliere. Gli elementi, i luoghi, le situazioni e le azioni che permettono a Dio di mostrarsi nascondendosi sono diverse, una di questa ci viene raccontata dall’autore del Primo Libro dei Re, attraverso il ciclo del profeta Elia.
Dopo lo scontro con Gezabele la vita del profeta è in pericolo, impaurito e stanco di scappare cede e «desideroso di morire disse: “Ora basta Signore! Prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri”». La paura degli altri e la delusione di sé stesso lo portano a cercare la morte fisica, va nel deserto e si vuole lasciare morire di fame. Per risolvere il problema e salvare Elia Dio sceglie di fare il percorso inverso, nutre il suo corpo perché possa arrivare al monte Oreb, dove solo la rivelazione di Dio può scacciare il desiderio di morte e ridare la vita. Per capire il significato di questa manifestazione nella vita del profeta, ma anche nella vita del credente, è necessario capire anche la dinamica con cui viene raccontata, essa viene incastrata tra due domande, o meglio tra la stessa domanda ripetuta due volte (Cfr. 1Re 19,9.13): «Cosa è a te qui, Elia?». La cosa strana è che Elia risponde in entrambi i casi allo stesso modo, sia prima che dopo la manifestazione: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita.». Cosa cambia, allora, se dopo la seconda risposta Dio dice: «Su torna sui tuoi passi verso?». Non basta lo zelo per il Signore se non ci si fida della sua parola e ci si sente soli. La rivelazione, infatti, mira a far capire a Elia come deve ascoltare la parola di Dio. Nel racconto ci sono diversi fenomeni, il vento impetuoso, il terremoto e il fuoco, e alla fine di ogni «ci fu» viene ripetuto: «Ma il signore non era nel …». Poi viene detto: «Dopo il fuoco ci fu una voce di silenzio leggera», ci aspetteremmo «Il Signore era in questa voce di silenzio..» invece nell’ascoltare questa voce Elia si copre il volto con il mantello e si mette in attesa. Quello che cambia non è la domanda di Dio e neppure la risposta di Elia, ma la situazione in cui avviene questo. La voce del silenzio e il corrispondente gesto di Elia sono l’unico modo per ascoltare la parola di Dio e recuperare il desiderio di vita.
Anche il vangelo ci racconta delle manifestazioni di Gesù, il miracolo della moltiplicazione dei pani voleva rivelare la divinità di Gesù Cristo ma i discepoli non sono riusciti a capirlo, ecco che Gesù stesso crea una nuova situazione di rivelazione: ordina ai discepoli di precederlo sull’altra sponda, durante la notte rimangono soli in mezzo al lago e la barca è agitata dalle onde a causa del vento contrario. In questa situazione di pericolo e di solitudine Gesù si mostra nascondendosi, viene verso di loro camminando sulle acque. Ciò che nella logica doveva essere l’elemento decisivo diventa, invece, l’ostacolo da superare. I discepoli danno una lettura diversa, invece di riconoscere attraverso il prodigio, la natura divina di Gesù, lo scambiano per un fantasma, non pensano nemmeno che sia Gesù, si sentono in pericolo e si mettono a gridare. Allora Gesù fa il primo passo per aiutare i discepoli a capire la manifestazione, rivela attraverso la sua voce la sua identità. Ma questo non basta perché a questo punto, non solo Pietro non si fida di Gesù ma non si fida di sé stesso perché prende coscienza di essere incapace a leggere quello che vede, la frase «Signore se sei tu comanda che io venga da te sulle acque» non vuole mettere alla prova Gesù, ma mette in discussione la sua capacità di riconoscere. C’è una distanza che separa Pietro dalla reale natura di Gesù, e lui sa che può essere superata solo se Gesù vuole, l’ordine di Gesù toglie alla possibilità di Pietro l’ultimo ostacolo, ora tutto dipende da lui. Pietro si mette a camminare, ma basta la parola di Gesù per credere, non solo in Gesù ma anche in sé stesso? Pietro scopre solo attraverso questo itinerario che c’è qualcosa che non è ancora risolto, la paura del vento contrario, in questo preciso momento Pietro si trova davanti a due elementi: l’ordine di Gesù e la violenza del vento, il suo cammino dipende da ciò che ascolta. Questa è la nostra vita, per raggiungere Dio abbiamo davanti la sua parola e il vento contrario, sta a noi scegliere su cosa poggiare i nostri passi. La paura rivela a Pietro e agli altri discepoli la loro fragilità, non a livello morale, ma sul piano della fede, rivela quanto questa fragilità può mettere in pericolo la stessa vita. In questa pienezza di rivelazione bisogna trovare il coraggio di gridare: «Signore, salvami!». La domanda che Gesù rivolge a Pietro, «Uomo di poca fede, perché hai dubitato», risulta difficile nella dinamica della narrazione e chiede di trovare nell’apertura esistenziale la sua funzione. Il narratore, in precedenza, aveva dato il motivo del dubbio di Pietro, il vento violento. Ma quello che Gesù sta chiedendo, in forma retorica; è «perché non ti sei fidato della mia parola nonostante la violenza del vento?». Non è una risposta che Pietro deve dare a Gesù, ma che ognuno deve dare a sé stesso. Quando Gesù sale sulla barca il vento cessa. Rispetto ad altri episodi, non dice nessuna parola al vento (Cfr. Mt 8,26-27, la sua presenza è la garanzia totale contro ogni vento contrario, e il suo cessare la possibilità di riconoscerlo come Figlio di Dio.