Emergeva solo la mia incapacità e inadeguatezza davanti alla grandezza dell’Amore che mi guardava. Mentre ero in processione, una suora mi prese da una manica del camice e mi gridò di chiedere a Gesù una grazia per il mio ministero futuro. Fu come un ridestarsi, confido ora cosa ho chiesto: di essere misericordioso, cioè se avessi sbagliato nei confronti del gregge del Signore, fosse per eccesso di amore e non per difetto; e di saper parlare ai giovani. Grazie che mi sembra di aver ricevuto.
Il suo ministero pastorale: quali parrocchie, quali problemi?
Ho iniziato il mio ministero con le parrocchie di Solano e Melia. Passavo molto tempo in macchina, ma mi hanno educato all’essenzialità. Poi è arrivato l’idillio di Arghillà, dove per 12 anni ho visto il nascere di una comunità bellissima e dove l’essenzialità era necessaria: ho imparato come l’umano è la via maestra della Chiesa e ho visto con i miei occhi veri miracoli. Sono stato cinque anni padre spirituale in Seminario e ora sono a San Giovanni Battista di Archi. Realtà diverse, ma per me affascinanti. Non “problemi”, ma “occasioni” per conoscere e amare di più Gesù nella comunità che lui genera.
Il profilo culturale del suo ministero: è vero che, insegnando, “si dona”, ma anche “si riceve”?
Ho imparato tutto dai ragazzi. Guardare i giovani per me è essere richiamato al fatto che la vita val la pena giocarla per grandi ideali. Stare con i giovani, anche con i più eccentrici, significa essere richiamati continuamente alla natura del cuore umano, a cui la vita non basta mai.
Il prete nel contesto del mondo attuale: quali sfide, quali rischi, quali priorità?
Credo che, come il papa ci sta testimoniando, è urgente ritornare al Vangelo “sine glossa”, a Gesù e a quello che di più a lui piace: abbracciare e perdonare. Il rischio del prete, a mio avviso, è preoccuparsi di applicare all’uomo di oggi uno schema, seppur buono; invece Dio si è mostrato e si mostra nell’uomo e conta di convincere la sua libertà tutto puntando sull’attrattiva della sua bellezza. Secondo me il prete deve solo fare attenzione a non offuscare questa bellezza.
Ci vuole offrire un ricordo di questi 25 anni, che le è rimasto inciso nel cuore?
Il giorno successivo del mio ingresso ad Arghillà, tanti anni fa, mi sono ritrovato con pochissime persone in chiesa, venute per la Messa. Le ho salutate con una certa fretta e sono uscito sul viale. C’erano delle fioriere e su queste erano seduti quattro ragazzi. Fumavano. Mi sono seduto vicino a loro e chiesto come si chiamassero. Mi risposero e mi chiesero come mi chiamavo io. Uno dice agli altri osservando il mio colletto: «Ma non vedete che è un prete?». Questa scoperta li ha divertiti e, sapendo che ero il loro nuovo parroco, mi hanno preso sotto braccio e accompagnato a conoscere il quartiere. Sono tornati il giorno dopo. Hanno smesso di fumare e sono fino ad oggi cristiani convinti. Ho capito che non serve avere strutture. Basta il cuore umano e uno che gli faccia compagnia.