Il “mezzo”, in questo caso, dipende necessariamente dal fine attraverso l’atto del giustificare, quindi dovremmo riflettere e capire qual è il fine capace di giustificare il mezzo, e nello stesso tempo capire che cosa significa “giustificare”. Cercare e trovare, quindi, un fine che è buono e contemporaneamente rende buono il mezzo, ma questo non è tanto facile, forse perché ciò avviene in un solo caso, poiché qui non stiamo parlando di un mezzo cattivo usato per ottenere qualcosa di buono, ma di un fine buono capace di rendere il mezzo buono. Stiamo parlando non della liceità del mezzo cattivo, ma della capacità del fine buono, in senso biblico di rendere il mezzo giusto. Seguendo questo ragionamento diventa importante, anzi essenziale nella nostra vita e per la nostra vita, trovare questo BENE, trovare quello che è la cosa migliore per noi, non solo nella vita presente, ma anche per quella futura, e legata a questa ricerca la capacita di discernere quali sono i mezzi concreti che la meta rende buoni. La necessità di avere una bacchetta magica che ci faccia vedere il futuro. La Bibbia non parla di magia, ma di testimonianza così come ci ricorda la seconda lettera di Pietro: «Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza». Dio attraverso parole, sogni e visioni rivela al suo popolo in parte quello che sta per accadere, non perché l’uomo lo possa cambiare, ma perché si possa preparare ad accogliere ciò che sta per avvenire. Tra i vari mezzi di rivelazioni abbiamo le visioni, strumenti che non solo permettono al popolo di prepararsi ma infondono coraggio e consolazione. Così il libro di Daniele, in un periodo buio e triste in cui umanamente sembra tutto finito e chiuso, accende una luce e apre una speranza attraverso la visione del Vegliardo e del Figlio dell’Uomo. A quest’ultimo viene consegnato il potere, la gloria e il regno. Il potere non è nelle mani dell’uomo se non in modo limitato e per un breve tempo, il potere eterno, infatti appartiene a Dio che lo ha consegnato nelle mani del suo unico Figlio, a lui appartiene il regno che non sarà mai distrutto.
Questo regno Gesù ha annunciato all’inizio del suo ministero, un regno che si è avvicinato ed è in mezzo a noi, un regno che richiede conversione e trasformazione. È il cammino che Gesù ha proposto ai sui discepoli e oggi propone a noi che tendiamo alla pienezza della vita e che nello stesso tempo dobbiamo essere trasformati, «sappiamo infatti che quando si smonterà la tenda della nostra casa terrena, riceveremo da Dio un’abitazione, una casa non costruita da mani d’uomo, eterna nei cieli, Perciò sospiriamo in questa tenda, desideriamo rivestirci della nostra dimora celeste, se pero, per quanto spogli, non saremo trovati nudi. E quanti siamo nella tenda sospiriamo come schiacciati, non volendo essere spogliati ma sopravvestiti, affinché ciò ch’è mortale sia assunto dalla vita». (2Cor 5,1-4). I mezzi che il Padre e il Figlio hanno scelto per rivelare e istaurare il regno sono quelli del dono di sé, della sofferenza e della morte: «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21). Allo scandalo di Pietro e degli altri apostoli Gesù promette: «In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno» (Mt 17,28). La parola, annuncio della passione e risurrezione, ora viene accompagnata da una visione, quello che Gesù fa trova la sua bontà nel perché e nella meta da raggiungere, ma è necessario per i discepoli che sono nel buio, incapaci di comprendere la bontà della parola di avere una luce che non venga solo dal passato ma anche dal futuro e che possa illuminare e sostenere la loro fede. L’esperienza della risurrezione è qualcosa di difficile da comprendere poiché non appartiene al loro bagaglio esistenziale, per tale motivo non riescono ad accogliere la fatica e lo sforzo del passaggio e della trasformazione che comportano la sofferenza e la morte. L’esperienza della Trasfigurazione all’interno del percorso del discepolo ha appunto questa funzione, sostenere la fede e illuminare il percorso che Gesù ha scelto per istaurare il regno. La visione di Gesù che cambia forma, la compagnia di Mosè ed Elia fanno sperimentare a Pietro e agli altri la bellezza della comunione con Dio e la pienezza del regno, tanto da voler materializzare fissare la comunione stessa nell’atto di voler costruire tre tende. Non sapeva cosa dire perché non aveva ancora compreso che nessuno può costruire una casa a Dio, ma che Dio ha posto la sua tenda in mezzo a noi per costruire a noi un’abitazione eterna nei cieli. Le parole del Padre riorientano il cammino dei discepoli attraverso l’invito all’ascolto. Il luogo dove va cercato il Regno è Gesù, è lui che ha posto la sua tenda in mezzo a noi, lo spazio dove Dio riversa continuamente e fa rimanere il suo amore e dove si compiace di trovare la risposta conforme. L’unicità di Dio, della meta, si manifesta nell’unicità dell’agire del Figlio, il solo che conosce la volontà del Padre la realizza e la rivela: «Sollevando gli occhi, non videro più nessuno, se non Gesù solo».