«La prima esperienza di settimana di vacanza – ricorda Alfoso che custodisce gelosamente i diari di quegli anni – è stata con i degenti dell’ospedale psichiatrico. Si aprì queste attività ai volontari: ci fu una grande risposta delle parrocchie, ma tantissimi furono i giovani non praticanti, ma che seppero cogliere quell’occasione di servizio». I Soggiorni degli anni ‘80 furono, anzitutto, dei veri e propri laboratori sociali. Accanto all’attività con i “pazzi” vi erano dei momenti di confronto intensissimo con i rappresentanti istituzionali. «Cucullaro, ogni anno, diventava la casa delle politiche sociali – spiega Alfonso – era immancabile la presenza degli assessori al ramo e dei sindaci di Reggio Calabria. Proprio in questi dibattiti nacquero le esperienze di solidarietà ancor oggi presenti come Casa Corigliano».
Un’esperienza che con la soppressione degli ospedali–lager psichiatrici è mutata notevolemente. «Lo spartiacque fu il 1993 – racconta Alfonso – fu una vera e propria apertura al territorio». Eppure questo è coinciso col calo costante dell’attenzione delle Istituzioni. «Non c’era più la polvere da mettere sotto il tappeto», chiosa Alfonso. Non per questo il vigore dell’azione caritativa è venuto meno: a sostenerla la forza della formazione. «È opportuno che il servizio evangelizzi. Infatti sono i “poveri” un fattore di evangelizzazione. Mi piace dire che il Soggiorno Sociale – stigmatizza – è un’esperienza provocante. Parliamo di crescita umana». Un percorso che è fatto di tante tappe che coincidono con le storie che hanno segnato per sempre la vita di Alfonso al pari di quanti hanno vissuto il Soggiorno: «Stefano Martelli, Peppe Trapasso, Micu Iozzu, Antonio Malara, Giuliana, Maria Melograno, Brigida e Rosaria: sono dei nomi che non possono dire nulla, ma per me sono una ricchezza enorme». Nell’ufficio della Caritas diocesana c’è anche il direttore, don Nino Pangallo, che ascoltando i ricordi di Alfonso tira fuori dall’archivio un cimelio. È l’agosto 1980: un diciottenne della Fuci ha appena compilato il suo questionario “di gradimento” dell’esperienza a Cucullaro.
Quel giovane di quinto superiore è proprio don Nino: «Incontrare la gente dell’ospedale psichiatrico, far loro la doccia, è un’esperienza che ti smuove dentro». Un principio educativo molto forte: «È una strada di umanizzazione ed evangelizzazione», spiega don Pangallo, «quello stesso anno con me venne un coetaneo al Soggiorno e oggi è diventato un validissimo magistrato». La riscoperta di sé stessa partendo dalla conoscenza delle “povertà”: «Accade nella nostra Città di dover celebrare funerali di persone trovate in casa ben quattro giorni dopo la loro morte – confida – cosa vuol dire questo? Che c’è indifferenza e solitudine». A loro è dedicata la “vacanza” di Cucullaro.