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Cristo si offre con amore nel mistero eucaristico

cenacolo

Da una parte, probabilmente, nella sua mente c’era il concetto riduttivo della locuzione «prima comunione», che l’uso troppo semplicistico e il passare del tempo avevano trasformato, dall’altra la coscienza che il sacramento, a cui i bambini erano chiamati a partecipare pienamente per la prima volta, è un mistero ricchissimo che non può essere esaurito dalle spiegazioni che possono dare le parole umane poiché fa parte di una storia attraverso la quale Dio si è rivelato e nella quale ha donato all’uomo e al tempo la sua presenza.
Tra i tanti episodi raccontati nell’Antico Testamento in cui si può riscontrare questa volontà, la liturgia domenicale di questo anno liturgico ha scelto un brano tratto dal libro del Deuteronomio. L’inizio di questo capitolo sottolinea l’invito di Mosè ad osservare i comandamenti, questi sono stati consegnati per vivere, per diventare numerosi e per entrare in possesso della terra promessa. Quando Israele avrà finalmente la terra dovrà continuamente ricordarsi di come gli è stata donato, dovrà tenere nella mente il cammino che Dio gli ha fatto percorrere, questa fatica non serviva a Dio, ma al popolo, per capire chi era e cosa è diventato per essere felice. Un cammino di umiliazione e di prova perché Israele, e non Dio, possa conoscere il suo cuore, non solo quello che il suo cuore pensa ma soprattutto quello che è capace di fare: «Per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato i comandamenti». Un cuore che va purificato e liberato, l’umiliazione diventa concreta nel momento in cui manca il cibo e Dio fa «provare» la fame. La manna che viene donata, diventa infatti strumento di conoscenza e quindi di purificazione di libertà del cuore perché in questo cibo il popolo può scoprire che non di solo pane vive l’uomo ma di ogni cosa che esce dalla bocca di Dio. Il ricordo della manna diventa medicina, perché il cuore non si innalzi e dimentichi i benefici del Signore che «nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e provarti, per farti felice per il tuo avvenire». Ogni volta che celebriamo l’eucarestia manteniamo vivo questo ricordo, anzi questo ricordo diventa fonte di vita, atto vitale e salvifico che ci impedisce di ricercare la salvezza e la felicità in altri divinità.
Anche San Paolo parlando dell’idolatria richiama la cena del Signore: «Perciò miei cari, fuggite l’idolatria. Parlo come a persone intelligenti», ed è bello che come opposizione all’idolatria egli non oppone le capacità umane, ma l’azione salvifica di Dio: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentate oltre le vostre forze, ma insieme con la tentazione vi darà la via d’uscita per poterla sopportare». Il calice benedetto e il pane spezzato sono comunione con il corpo sangue di Cristo. Questo è l’unico pane che ci fa entrare in con comunione con Dio e tra di noi. La comunione dei fedeli attraverso l’eucarestia è la testimonianza dell’unicità di Dio, che impedisce a noi e agli altri di cadere nell’idolatria. Si capisce meglio attraverso queste parole di Paolo il discorso di Gesù nel capitolo sesto del vangelo di Giovanni, poiché, infatti, c’è un unico Dio, necessariamente ci può essere un solo pane disceso dal cielo. Non solo è un pane unico, ma è anche un pane diverso da quelli precedenti, anzi si può arrivare alla sua unicità proprio nel momento in cui «gustiamo» la sua diversità: «In verità vi dico voi mi cercate non perché avete visto i segni, ma perché avete mangiato i pani e siete stati saziati». Gesù stesso pone la relazione tra il dono della sua vita e la via per accogliere questo dono: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che i darò è la mia carne per la vita del mondo». La domanda dei Giudei: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?», nella sua legittimità e difficoltà resta appesa fino a un certo punto. Anche oggi si potrebbe presentare, ma la necessità e la verità della domanda richiede l’umiltà e la disponibilità all’accoglienza della risposta: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me». È la stessa difficoltà di pensare che il Figlio di Dio, il verbo eterno, si sia incarnato, eppure è avvenuto, il verbo si è incarnato ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Colui che mangia di Gesù è chiamato a fare il percorso inverso. Dio ha mandato il suo Figlio per donare a noi la vita eterna, noi ci nutriamo del Figlio per ricevere la vita eterna.