{module AddThis}Dobbiamo far diventare nostre le parole che l’apostolo Paolo rivolge agli Efesini, egli chiede al Padre lo Spirito di sapienza e di rivelazione che illumini gli occhi della nostra mente per comprendere a quale speranza siamo stati chiamati, quale tesoro di grazia racchiude la sua eredità tra i santi, e qual è la straordinaria potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo.
Guardare, allora, l’ascensione non solo dal punto di vita umano in cui sembra che si interrompa la storia della presenza di Dio tra noi attraverso Gesù Cristo, solo perché il suo corpo viene sottratto al nostro sguardo, ma guardare anche con gli occhi della nostra mente trasformati dallo Spirito l’intero progetto di Dio in cui l’azione di benevolenza verso l’umanità non si conclude ma continua per sempre. Questa continuità è resa possibile attraverso il compimento del disegno divino che prevede l’esaltazione di Cristo attraverso la morte, la risurrezione e l’intronizzazione alla destra del Padre. Anche quest’ultimo atto salvifico è un’opera a favore della Chiesa, la quale è suo corpo, pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose. L’evento dell’Ascensione, non come momento di passaggio ma atto fondante per la futura vita della Chiesa, ci viene raccontato da Luca negli Atti degli Apostoli e da Matteo nel suo Vangelo. All’inizio della sua seconda opera Luca riassume il contenuto della prima, ha bisogno per delineare i nuovi prodigi di Dio di ripartire dal punto preciso in cui concludeva il Vangelo: l’ascensione (Lc 24,50-53). Le ultime parole di Gesù, riportate nel racconto degli Atti fanno riferimento esplicito al dono dello Spirito, dono che i discepoli devono ricevere per diventare testimoni fino ai confini del mondo. L’evento, in sé stesso descritto con poche parole: “fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro sguardo”, è incorniciato proprio dalle parole di Gesù e da quelle dei due “angeli” che ne assicurano il ritorno.
Anche l’evangelista Matteo racconta l’evento con parole simili, da una parte, infatti abbiamo lo stesso mandato di testimoniare, che si concretizza nel comando di fare discepole tutte le nazioni, nel battezzare nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo e nell’insegnare ad osservare i suoi comandamenti, dall’altra, quasi in corrispondenza alla promessa del ritorno riportata da Luca abbiamo l’assicurazione da parte di Gesù della sua presenza fino alla consumazione dei tempi. Il mandato stesso e la promessa della sua presenza si poggiano sul potere che è stato dato a Gesù di cui parla anche la lettera dell’apostolo Paolo agli Efesini, “Dio lo fece sedere alla sua destra nei cieli al di sopra di ogni principato, di ogni potenza e dominazione, di ogni altro nome che si possa nominare, non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro”. È la risposta definitiva di Gesù alla comunità dei discepoli che si avvicina a lui con un duplice atteggiamento, di prostrazione e di dubbio. “Alcuni però dubitavano”, agli occhi del lettore questa nota del narratore può sembrare strana, nella sua realtà perché raccontarla in questo momento? Qual è la sua utilità in una dinamica di evangelizzazione ed edificazione della Chiesa nascente? Il verbo distazō non è un verbo molto usato nella” Bibbia greca”, non è presente nella Bibbia dei LXX e neppure nel resto del Nuovo Testamento, appare soltanto due volte nel Vangelo di Matteo. Per comprendere il suo significato come prima cosa potremmo fare riferimento al quadrato aristotelico e giocare sul senso che si riesce a dare combinando i contrari e i contradittori, richiamando il verbo credere, infatti, e giocando sui contrasti, possiamo concludere che tra il credere e il non credere si pongono necessariamente il non dubitare e il dubitare, e quindi dubitare non significa automaticamente non credere. Qualche indizio in più ci viene dato dal passo parallelo del vangelo in cui ricorre il verbo: Mt 14,22-31, “Gesù che cammina sulle acque”. Siamo in un contesto di rivelazione, il brano si apre con un ordine di Gesù di salire sulla barca e di precederlo all’altra riva. L’ordine ha la funzione di lasciare i discepoli da soli, senza la presenza di Gesù, soli e in difficoltà: la barca lontano dalla terra e sbattuta dai flutti. In quella solitudine faticosa Gesù si rende presente, “andò verso di loro camminando sulle acque”. Ma i discepoli non lo riconoscono, pensano sia un fantasma. Gesù si rivela: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”, Pietro non si fida e pone una condizione: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. E Gesù: “Vieni”. Pietro si fida di Gesù e si mette a camminare, ma vedendo che il vento soffiava forte fu preso da paura e si mise a gridare dicendo. “salvami”. Subito Gesù stese la sua mano e lo afferrò e disse: “uomo di poca fede perché hai dubitato (edístasas)?”, Pietro non risponde, il suo silenzio lascia a noi la possibilità di farlo. Il dubitare non significa non avere fede, ma poca fede, significa chiedere continuamente di verificare cosa ci fa dubitare, significa aprirci alla possibilità che ogni dubbio venga colmato dalla presenza di eterna di Gesù che stende la sua mano e ci salva.