Avevano riposato appena qualche ora lungo quella notte, vissuta come l’altra del giorno prima dentro un mare di ricordi, pensieri che si rincorrevano, silenzi e lui non c’era. Non c’era più.
Erano state lì il venerdì alle tre del pomeriggio. Il grido con cui s’era chiuso lo spazio della sua vita ancora le squarciava. Andavano adesso, alternando i passi e la corsa, gli sguardi verso la luce che s’affacciava mentre uno strano silenzio le fasciava: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?».
La Pasqua è essenzialmente un evento del quale non si può avere una proprietà personale. È bello che il mattino di Pasqua Maria di Magdala corra da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava. Poi, ancora, il fatto che corrano tutti e due, che tutti e due si aspettino. Pietro, Maria di Magdala, Giovanni…
È una vicenda che coinvolge tutti; è successo qualcosa per cui è necessaria una Chiesa che viva la comunione, una chiesa nella quale emergono già i tratti di ciò che siamo chiamati a vivere noi.
La fede riconosce il mistero, ma l’amore vi è arrivato prima.
Così è anche per Maria di Magdala: l’amore l’aveva portata al sepolcro, anche se non conosceva il mistero. Se la fede non è guidata dall’amore è vana.
L’arrivare prima di Giovanni nei confronti di Pietro non vuol dire entrare. Non è il primo colui che entra. Succede che si entra se ci si aspetta. Non si entra se non insieme, nel cammino impegnativo, lungo, appassionante dell’incontro con il Cristo Risorto.
La risurrezione significa che la carne umana nel Cristo ha vinto una volta per sempre la morte. Dunque: un frammento del nostro mondo è sfuggito, e per sempre, alla sorte inevitabile del nostro mondo, la morte. Questo è il messaggio della Pasqua: il mondo non è un insieme autosufficiente e chiuso nel circolo rigido e freddo delle sue leggi.
E qui nasce la speranza: se la morte è stata vita nella storia di Gesù, allora la morte non è così invincibile come sembra. C’è una possibilità offerta all’uomo di inventare la sua esistenza verso la vita, anziché perderla nella morte.
Ma dov’è questa possibilità? E qui viene il secondo importante messaggio della Pasqua. In tutta la sua storia, l’uomo ha cercato e cerca delle vie attraverso le quali vincere il potere della morte.
Solo che in genere l’uomo cerca di sfuggire alla morte attraverso ogni forma di riuscita, attraverso la via dell’autoaffermazione: la ricerca del potere o del denaro o della forza o della fama sono seducenti non tanto per se stessi, ma per il senso di riuscita che trasmettono all’uomo. Sono altrettanti modi per cercare l’immortalità, anche se finiscono spesso per dire solo la disperazione di non potere uscire dal braccio mortale del mondo.
Il Vangelo proclama che la via dell’immortalità, non è quella che cerca di mettere in scacco la morte non pensandoci o illudendosi di superarla con una vitalità esasperata.
Sono anni che ce lo chiediamo. L’ateo se lo chiede che si ferma al di qua della soglia del mistero; il credente che s’accosta e si brucia. Dov’è? I tempi se lo chiedono e si aprono all’eterno e quelli che si chiudono dietro gli orrori della storia, dietro le paure delle ingiustizie.
Dove sei? Gli gridano i bastonati della storia, i trafitti, i prigionieri dei gulag e dei lager, i poveri cristi delle immense latitudini del dolore. I rifugiati, i percossi, i nullatenenti, i clandestini, i violati, i murati vivi, gli scomparsi senza tracce, gli stuprati. «Dove sei?» con un filo di voce gli chiedono i non nati perfino.
Appunto. Dov’è Dio? Perché il sepolcro è vuoto?
Come il fuoco che brucia nel petto di Maria di Magdala, come il grido che schioda i sepolcri chiusi e le speranze murate dei discepoli, lui è lì dove c’è la vita nuova, è lì dove la speranza attende. È risorto!
Gaetana Covelli