Più di trecento fra bambini, ragazzi e educatori, hanno letteralmente invaso i locali del seminario. È stata un’emozione stupenda vedere tantissimi ragazzi armati di tuniche e tracotanti di gioia attendere quest’evento. Al loro arrivo i ministranti sono stati accolti dai seminaristi, che con profondo entusiasmo hanno condiviso con loro momenti di preghiera, di festa e di gioia, quella vera, quella che deriva da un incontro speciale, che cambia la vita, quella con Cristo maestro.
Ed è proprio all’insegna della scuola del maestro che si sono svolte le molteplici attività in gran parte della mattinata senza dimenticare che il ministrante è un ragazzo/a che attraverso il Battesimo è diventato amico di Gesù che dimostra con la vita che Dio è amore; il ministrante, inoltre, è un ragazzo che nella vita di ogni giorno e con tutti cerca di vivere quello stile di servizio che Gesù ha insegnato. Il termine deriva dal latino «ministrans», cioè colui che serve, secondo l’esempio di Gesù che non ha esitato egli stesso a servire per primo e che invita a seguire il suo esempio.
Il tema della giornata, in conformità con quello nazionale, è stato «Beati gli invitati». Attraverso la figura del re Davide, i ragazzi si sono soffermati a riflettere sulla vita intesa come vocazione. Dio, che non guarda all’apparenza, ma guarda il cuore degli uomini, ha chiamato Davide per realizzare un progetto d’amore. Questo, accolto e attuato, è diventato una chiamata al servizio del popolo nella sua quotidianità, proprio come i ministranti, che, ogni volta che indossano la loro alba, diventano testimoni di chi si dona gratuitamente. Il fulcro della giornata non poteva non essere la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Fiorini Morosini. Durante la Messa padre Giuseppe, commentando il brano evangelico del cieco nato, si è soffermato «sull’esigenza di farci condurre e lasciarci guarire da Cristo così come fece il cieco».
Inoltre, nello spiegare ai ragazzi la bellezza della vocazione di speciale consacrazione l’ha intesa come l’incontro fra l’ «Amante e l’amato» e, quindi, come l’amore vero che non inganna con false promesse e non ammalia con belle parole, ma dona la felicità pur permanendo nella semplicità.Ogni festa che si rispetti termina con un lauto banchetto. Ed è proprio nel momento conclusivo della giornata che il gruppo folto dei ministranti ha compreso come la condivisione di ciò che si possiede porta alla comunione con i fratelli.
G. Stranieri e A. Ielo