{module AddThis}La felicità è un progetto che Dio ha scritto nel nostro cuore e che passa necessariamente attraverso la conoscenza e l’esperienza di colui che solo può realizzare questo disegno e ricolmare di gioia il nostro cuore. La conoscenza di Dio come oggetto del sapere ha tolto all’uomo la base necessaria su cui fondare l’esperienza relazionale che non è solo razionale ma anche affettiva. La Bibbia e in modo particolare il Vangelo non sono un’enciclopedia, o un computer, che danno una soluzione precisa e puntuale ai nostri problemi, ma sono il luogo dove Dio si “racconta”. Solo con il desiderio di entrare in questo racconto possiamo scoprire il disegno di Dio e permettergli di realizzarlo. Dio ha scelto di narrarsi pienamente e definitivamente in Gesù Cristo che è venuto a condividere con noi le nostre sofferenze, le nostre malattie e la nostra morte. Non ha eliminato tutti questi ostacoli alla felicità, ma li ha completamente trasformati con il suo sacrificio e con il suo amore. Diverse volte il Figlio di Dio si è trovato davanti al mistero della morte, i vangeli sinottici raccontano della «Figlia di Giairo» e del «Figlio della vedova di Nain», ma la situazione è diversa. Quando – come narra il vangelo di Giovanni – Gesù riceve la notizia che il suo amico Lazzaro di Betania, il fratello di Marta e Maria, è ammalato esclama: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Dalla penna del narratore apprendiamo la decisione inspiegabile di Gesù di trattenersi ancora due giorni nel luogo in cui si trovava. Ritardo che non interessa solo Gesù, ma che coinvolge i suoi discepoli e in qualche modo caratterizza la loro relazione: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato lì, perché voi crediate». La manifestazione della gloria di Gesù e il cammino della fede dei discepoli, in questo brano, passano necessariamente attraverso l’esperienza della malattia e il mistero della morte. Davanti a questa esperienza, comune eredità di tutti i viventi, nasce istintivamente un senso di ribellione e si apre la ricerca del perché «Dio non è intervenuto», della necessità della presenza dell’assoluto che proprio nel momento del bisogno viene a mancare: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto». Sono queste le parole di Marta e Maria quando incontrano Gesù per la prima volta dopo la morte del fratello. C’è in queste parole di entrambe le sorelle una testimonianza di fiducia nei confronti di quello che Gesù poteva fare, esse credono il loro «amico» può guarire ogni malattia e mantenere in vita. A questo punto della pericope, ma anche dell’esperienza concreta della nostra vita, diventa importante la reazione di Gesù a queste parole. Nel primo incontro chiede a Marta di aprirsi alla fede nella risurrezione, e quando questa accoglie l’invito come un rinvio all’ultimo giorno Gesù opera il passaggio fondamentale, chiede a Marta, e oggi a noi, un cambiamento di fede radicale. Non basta più sapere che ci sarà la risurrezione nell’ultimo giorno, ma per questo è necessario nell’oggi dell’esperienza della morte che Gesù è la risurrezione e la vita, questa verità non va solo accettata come assenso intellettuale, ma vissuta pienamente nello spazio della fede. Credere che Gesù è la risurrezione e la vita permette di andare oltre la morte. Gesù si commuove per il pianto di Maria e dei giudei e si mette a piangere quando gli dicono: «Vieni a vedere». A volte ci piace pensare che in questa scena c’è tutta l’umanità di Gesù capace di manifestare le sue emozioni e condividere i nostri sentimenti, ma forse questo tipo di lettura risulta un pò riduttiva poiché nel pianto di Gesù non viene espresso solo l’amore umano ma quello divino, non è un pianto che nasce dal dolore impotente ma dall’amore redentivo. In questo momento Gesù non sta solo rivelando il motivo del suo intervento riguardo all’amico Lazzaro e alle sue sorelle, ma anche i motivi più profondi della sua incarnazione, morte e risurrezione. Diventa stridente in questo spazio testuale la domanda di alcuni che dicono: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che questi non morisse?», che rimane sospesa ancora oggi per quelli che guardano Dio dal punto di vista del potere e non dell’amore. La morte di Lazzaro era necessaria per la fede di Marta e Maria e per tutti i presenti come confermano le parole che precedono l’apertura del sepolcro e seguono la risurrezione del fratello.